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Gli inglesi al dunque: restare o lasciare?

Comunque vada il referendum sulla Brexit, l'Unione deve ridefinirsi e trovare finalmente un rapporto con i popoli.

Restare o lasciare: è l'alternativa per l'elettorato britannico che va al voto il 23 giugno. Non è facile prevedere la scelta dei cittadini. Non riguarda solo gli abitanti del Regno Unito, ma tutti i cittadini dell'Unione. Sarebbe la prima volta che un Paese lascia la casa comune europea, dove - fino a ieri - tanti avevano l'ambizione di entrare. La democrazia britannica è diversa dalle altre europee. Questo marca in profondità leggi, mentalità, tradizioni, istituzioni. La Gran Bretagna ha un legame speciale con gli Stati Uniti e guarda ancora ad alcuni Paesi dell'ex impero, raccolti nel Commonwealth.

Ultimamente, il primo ministro David Cameron, mentre negoziava eccezioni alle regole di Bruxelles, ha ribadito che un'unificazione più stretta tra europei non è negli obiettivi del suo Paese. Del resto, sulle Isole si sta diffondendo la paura dell'invasione dello straniero. Innanzitutto dei non europei: quasi 5 milioni e mezzo di residenti, mentre altri sono stati bloccati con decisione a Calais. Si temono anche i lavoratori dell'Unione: 3.300.000 residenti, di cui 257 mila entrati tra il 2014 e il 2015 (ben 50 mila italiani).

Eppure non va dimenticato che un grande impulso all'integrazione europea è venuto da Winston Churchill, che ha lottato strenuamente durante la Seconda guerra mondiale perché il continente europeo non cadesse sotto il controllo nazista. Uomo di grandi visioni, Churchill, dichiarò nel 1946: «Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d'Europa». Da questo difensore ardente del Regno Unito e dell'impero britannico venne la proposta di un esercito europeo e di strutture unificanti. Ancora oggi una parte importante dell'opinione pubblica britannica resta favorevole all'Unione: i più giovani, gli operatori della City, gli scozzesi in maggioranza... Ma il voto è un'incognita.

In caso di Brexit, Christine Lagarde, che guida il Fondo monetario internazionale, ha previsto effetti negativi sull'economia inglese. Per l'Italia, pure, ci sarebbero difficoltà, perché il made in Italy sul mercato inglese rappresenta lo 0,8% del Pil italiano. Grave sarebbe la ricaduta politica sull'Unione. Altri Paesi seguirebbero il Regno Unito? 

In ogni caso, l'Unione deve ridefinirsi e trovare finalmente un rapporto con i popoli. L'Unione ha avuto effetti positivi sulla vita dei cittadini attraverso il welfare. Si pensi a quanto ha investito sulla Polonia. Ma che consapevolezza ne hanno i cittadini? C'è qualcosa che non funziona. Bisogna correre ai ripari con una nuova politica. 

Editoriale di Andrea Riccardi su "Famiglia Cristiana" del 19 giugno 2016.

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