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Profughi sudanesi in Ciad, ad Adre - 24 Gennaio 2025 - Foto Foreign Office UK/Russel Watkins |
Da 3 anni il Paese è devastato da scontri tra fazioni. E i rifugiati diventeranno un nostro problema
Tra le troppe guerre aperte (oltre 50), forse una delle più sanguinose è quella in Sudan, dove il conflitto civile è iniziato nell'aprile del 2023. Se ne parla solo a tratti.
Sulle vittime i dati sono scarsi perché la guerra è avvolta dal silenzio e dal disinteresse: è raro che giornalisti indipendenti od operatori umanitari abbiano accesso alle aree degli scontri. Si parla di circa 30 mila morti in combattimento e di 150 mila per fame e malattie. Secondo gli esperti, tuttavia, oltre 5 milioni di sudanesi sono a rischio.
La guerra è esplosa tra i due alleati del golpe del 2021: l'esercito ufficiale (Saf, Sudanese Armed Forces) e le Forze rapide di supporto (Rsf), milizia paramilitare usata per combattere i ribelli del Darfur. I due gruppi si sono divisi per ragioni economiche (il controllo del mercato dell'oro), politiche (il leader delle Rsf, Degalo, detto Hemetti, mirava a posti apicali) e militari (gli alti gradi dell'esercito volevano la dissoluzione delle Rsf). Ma gli attori esterni hanno fortemente agito per una guerra che ha destrutturato il Paese, provocato 15 milioni di sfollati (interni e profughi) e gettato oltre 30 milioni di persone nel bisogno di un'assistenza umanitaria urgente.
La guerra è ormai nel suo terzo anno. All'inizio le Rsf hanno preso molte regioni dell'est e del centro, spingendo il Governo militare a rifugiarsi a Port Sudan, lasciando la capitale Khartoum dove si è combattuto strada per strada. In una seconda fase però l'esercito ha ripreso il controllo di Khartoum di alcune regioni centrali. Ora, però, si è aperta la guerra dei droni, con cui le Rsf bombardano anche Port Sudan.
Le Rsf sono sostenute - in maniera non ufficiale - dagli Emirati Arabi Uniti tramite la Libia del generale Haftar, che dà loro armi e droni di fabbricazione cinese, iraniana e serba. L'esercito invece ha il sostegno dell'Egitto e presumibilmente dell'Arabia Saudita.
Una situazione davvero intricata e fumosa in cui gli alleati dei due fronti (Egitto e Haftar in Libia) si combattono per interposta milizia in terra sudanese. A metà aprile 2025, le Rsf hanno creato un Governo parallelo rispetto a quello di Port Sudan, ufficializzando la divisione del Paese in due. La comunità internazionale ha varie volte tentato, senza successo, di far dialogare i due protagonisti, coinvolgendo anche la società civile.
Come spesso accade nelle guerre africane, sono stati armati i civili, dando vita a milizie su base etnica. Il caos ha anche favorito la rinascita di forze islamiste (politico-militari) legate al precedente regime di Omar al-Bashir, caduto nel 2019. Negli scontri si sono verificate anche gravi pulizie etniche, come contro i Masalit, utilizzando mercenari provenienti da Ciad, Niger e Libia.
Il rischio attuale è che la guerra debordi, perché, senza una soluzione politica, anche le guerre combattute nei Paesi vicini rischiano di connettersi. Il Ciad sta uscendo lentamente da una crisi politica e rischia di essere travolto. Secondo l'Alto commissariato per i rifugiati oltre 40 milioni di civili sono in fuga nel Corno d'Africa dove il contesto umanitario è drammatico.
L'Europa, sempre preoccupata dell'arrivo dei rifugiati, non dovrebbe porsi il problema? La comunità internazionale non dovrebbe avere un coinvolgimento maggiore come per altri conflitti? Il problema è che un popolo ha perso quasi tutto e sta morendo.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 31/8/2025
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