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Visualizzazione dei post da agosto, 2020

Primavera di popolo anche in Bielorussia

  Un'immagine della manifestazione del 16 agosto a Minsk   Foto da  https://commons.wikimedia.org/wiki/User:Homoatrox/Gallery2020-2 Molto vicino a Mosca, ora il Paese desidera la libertà e si muove verso un cambiamento pacifico Il popolo esiste. Sembrava tramontato tra individualismo e social media. Invece c'è. Non solo in Libano, dove protesta per l'esplosione di Beirut.  Ora si è svegliato inatteso in Bielorussia, dimenticata nel cuore dell'Europa, tra l'Unione e la Russia. Meno di dieci milioni di abitanti. Isolata e sanzionata dall'Europa. Unico Paese europeo con la pena di morte in vigore. Al comando, dal 1994, Alexander Lukašenko, ora rieletto ancora una volta con un troppo "generoso" 80% di voti. Il popolo ha reagito: un'enorme manifestazione da Minsk, il 16 agosto, fino ai villaggi.  È una sorpresa: il Paese è stretto in un sistema repressivo e la repressione è stata violenta (e la rabbia cresciuta). Eppure la società sembrava rassegnat

L'Europa aiuti i libanesi a creare un vero Stato di diritto

Occorre passare dalla protesta alla politica, arginando i clan e i loro interessi. L'Italia non può stare a guardare Sono stato in Libano, la prima volta, nel 1982. Era in corso una terribile guerra civile dal 1975, conclusasi nel 1990. Ricordo il centro di Beirut distrutto e la città divisa tra le fazioni in arm i. La cattedrale greco-cattolica profanata, le icone spezzate e rubate. Si combattevano gruppi cristiani e musulmani. Un grave problema era la presenza dei profughi palestinesi (ancora oggi più di 400 mila).  Nel 1975 era saltata la convivenza interreligiosa. Prima si diceva: il Libano ha due ali, cristiani e musulmani, e così vola! "Volava" come la Svizzera del Medio Oriente: intreccio tra affari e vita mondana, spazio europeo, libero tra le dittature arabe, nazionaliste e socialiste. Funzionava. Ma non si rafforzò lo Stato né si fece una politica di inclusione delle masse diseredate, tra cui gli sciiti. Per loro Hezbollah è stato il riscatto sociale e oggi è u

Managua, l'eloquente silenzio del crocifisso carbonizzato

Foto da Vatican News   L'attentato compiuto nella cattedrale il 31 luglio deve allarmare chiunque abbia a cuore la  libertà religiosa In queste ultime settimane si è molto discusso della trasformazione di Aghia Sofia, Santa Sofia di Costantinopoli, da museo a moschea (era stata una basilica cristiana sino alla conquista ottomana della città). Mutare l'uso dei luoghi di culto o colpirli ha un forte valore simbolico.  Quasi nessuno però ha parlato della cattedrale di Managua, forse perché nella capitale di un piccolo Paese centroamericano, il Nicaragua, di 6.300.000 abitanti. Ma è un fatto grave ed emblematico del clima di odio che si va instaurando.  Un attentato con una bomba molotov è stato compiuto il 31 luglio contro la cattedrale dell'Immacolata, un punto di riferimento per la città: si è incendiato un crocifisso seicentesco, oggetto di devozione popolare di fronte cui si era inginocchiato e aveva pregato Giovanni Paolo II. La bomba ha spezzato una statua della Madonna

Serve un nuovo inizio del cristianesimo, di fronte all'insicurezza e alla solitudine da pandemia

    Foto: Comunità di Sant'Egidio   Di fronte all'insicurezza e alla solitudine, bisogna ripopolare di fraternità le città e ricostruire le relazioni Nelle chiese, dopo le settimane del Covid-19, sono riprese le liturgie con le misure prescritte per evitare il contagio. Qualcosa è cambiato, però. Non si può fare finta che tutto sia come prima. Lo si nota dalla partecipazione alle celebrazioni, meno alta di prima. Meno anziani che, per giusti motivi di prudenza, rimangono a casa. Ma non devono essere dimenticati.  Resta la ferita per la morte di tanti, specie in alcune regioni, per la pandemia. Spesso morti soli. Nel caso dei decessi, anche di altra natura, si è vissuta la dolorosa mancanza del funerale. Tutti hanno misurato la fragilità della propria vita a contatto con il pericolo. Abbiamo vissuto un periodo "ritirato"; in casa e in famiglia, in cui si sono sentite in modo inedito la forza e la debolezza dei rapporti, nonché la solitudine.  Anche per i sacerdoti è st

La paura per i contagi provocati dai bengalesi in rientro. Escluderli non serve, dobbiamo integrarli

Lavorano tanto, ma si isolano. La vera lezione della pandemia? Va trovato un nuovo modo di relazionarci I bengalesi sono contagiosi? Non bisogna proteggersi dagli stranieri che portano il Covid-19? Ci sono stati casi allarmanti di bengalesi fuori controllo o che tornavano dal loro Paese. Alcuni bangla, immigrati nel nostro Paese, allo scadere del permesso di soggiorno si sono imbarcati nei voli per l`Italia, saltando - sembra - le misure di controllo. Bisogna vigilare con attenzione e i bengalesi stessi devono agire conseguentemente.  Guardiamo in faccia la realtà della comunità bengalese, circa 140 mila persone. Una comunità di grandi lavoratori, che cominciano dal poco, magari dalle vendite di aglio e finiscono per essere piccoli-piccolissimi imprenditori. I bangla sono impiegati al 70% nel settore terziario e più del 25% nel commercio. In genere musulmani, ma ci sono anche indù, buddisti e cristiani. L'ingegnosità bangla ha portato alla creazione di un'app, "Bangla di