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La Francia zoppica, tutta l'Europa soffre



Preoccupano l'astensionismo e i sorprendenti risultati tanto a destra (Le Pen) quanto a sinistra (Mélenchon)

In Francia le elezioni legislative non hanno dato la maggioranza assoluta a Macron, ma solo relativa. Gli mancano un po' più di 40 seggi. Era accaduto a Mitterrand nel 1988, ma solo per 15 seggi. In queste elezioni si è verificata una polarizzazione tra estrema destra e sinistra populista. I socialisti hanno 28 seggi e 63 i repubblicani (gollisti): sono i due grandi raggruppamenti che hanno governato il Paese dal 1958 al 2017. 

A fronte di Ensemble! (245 seggi), l'opposizione è controllata ora dal Rassemblement National di Marine Le Pen (89 seggi) e dalla Nupes (153 seggi), la fragile neocoalizione di sinistra coagulata attorno a Jean-Luc Mélenchon. Sarà un'Assemblea nazionale turbolenta perché le due opposizioni hanno i numeri per presentare mozioni di sfiducia e lo faranno a ripetizione. Alla polarizzazione si aggiunge la frammentazione: Nupes non riesce a costituire un gruppo unitario (comunisti, socialisti e verdi vogliono il loro) e il panorama parlamentare è frazionato. 

C'è a monte il grave fenomeno dell'astensione: al primo e al secondo turno ha votato meno della metà degli elettori. Alle presidenziali di aprile gli astenuti erano stati il 30%. I francesi sono inquieti e reagiscono non andando a votare. Come seconda opzione, votano schierandosi con i partiti di protesta. Sembra che un terzo degli elettori di Nupes del primo turno abbia votato per i lepenisti al secondo.  Inoltre è caduta la cintura sanitaria che teneva Le Pen fuori dal gioco politico: gli elettori della destra repubblicana e gollista hanno votato in massa per il suo partito. 

Il tentativo di costruire un centro, cardine di stabilità per il sistema, non è riuscito appieno. Macron forse governerà senza maggioranza assoluta. 

La vera lezione riguarda l'astensionismo: come arginare la disaffezione dalla politica delle classi popolari e del ceto medio? Siamo di fronte all'onda lunga dei gilets jaunes che non passa e - ora si vede - hanno fatto emergere dal profondo della società (anziani, pensionati, periferie, provincia, ceti medio-bassi) una marea protestataria mista e di difficile lettura. Si aggregano in essa vari fenomeni: problema delle pensioni e del costo della benzina (all'epoca, il detonatore dei gilets jaunes); la questione anziani e Rsa (aggravato dalla pandemia); il declassamento della Francia rurale (Chirac è stato l'ultimo presidente che andava in giro per fiere agricole); la crisi della scuola (con fenomeni di violenza); l'aumento del costo della vita (tema della Le Pen) e altri fattori, sfociati nella protesta contro il lockdown durante questi due anni. 

Al pari di quella francese, le società europee sono abitate da un senso di disagio ed esclusione: rabbia e rancore sono manipolati, di volta in volta, da politici populisti o personalisti. C'è un mondo in grave difficoltà che i partiti devono intercettare. Non esiste questo problema anche in Italia? Tante volte i dibattiti delle aule parlamentari e i loro protagonisti sono così lontani dalla vita della gente. Le elezioni francesi mostrano che il centro conserva una relativa attrattiva solo per la presenza di Macron, mentre in realtà perde parte del consenso ricevuto alle presidenziali. L'elettorato è mutevole. 

Una grande crisi economica e sociale è alle porte. Siamo in un ciclo che potrebbe indebolire le basi del consenso verso la democrazia, già contestata dai sistemi autoritari e scossa dalla guerra in Ucraina, che si prolunga con le sue tragiche e amare conseguenze.


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 3/7/2022


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