Membro di Sant'Egidio ucciso dalla criminalità, il giovane congolese oggi è beato per la Chiesa
Floribert Bwana Chui, giovane congolese di 26 anni, è stato ritrovato morto il 9 luglio 2007, alla periferia della sua città di Goma, nella provincia del Kivu Nord. Un morto come tanti, si potrebbe dire. Perché occuparcene? La storia è vecchia di più di quindici anni.
Ma la Chiesa non ha dimenticato quest'uomo ucciso perché si era opposto al passaggio di forti quantità di riso avariato in quanto funzionario alla dogana tra Congo e Ruanda. Era abituale farlo in una frontiera dove non contava la legge ma l'interesse dei gruppi criminali. Gli era stata proposta una lauta somma di denaro. Aveva rifiutato. Voleva di più? Ma i corruttori si accorsero che questo giovane e bel ragazzo, con l'aria da intellettuale, non era come i suoi colleghi. Non si piegava. Allora bisognava ucciderlo per dare un esempio, martoriando il suo corpo.
Il 15 giugno la Chiesa proclama Floribert beato e martire in odio alla fede. È un figlio della Comunità di Sant'Egidio, che viveva la sua spiritualità nella preghiera e nell'ascolto della Parola di Dio, nel servizio ai poveri e nella ricerca di pace. La pace manca nella regione del Kivu ancora oggi, tanto che non si è potuta tenere lì la beatificazione.
Floribert partecipava alla Comunità, alla sua preghiera e si dedicava ai ragazzi di strada, portati a Goma dalla guerra e sradicati dalle famiglie. Invitava i ragazzi alla Scuola della Pace della Comunità, per liberarli dall'emarginazione. Uno di loro ha detto: «Non ero mica della sua famiglia, ma lui veniva a cercarmi... si preoccupava di me». Viveva con i poveri come suoi familiari.
In Africa i giovani sono tanti, sfidati da un'economia matrigna e dalla competizione. Floribert desiderava un mondo migliore. Non era rassegnato: «Era convinto che fossimo nati per fare cose grandi, per incidere nella storia, per trasformare la realtà», dice un amico.
Il suo sogno era nutrito dal Vangelo, la cui lettura lo accompagnava: «Se dovessi avere qualche problema», diceva a un'amica, «prendi il Vangelo e leggilo. Ti consolerà e ti darà gioia». Questo ragazzo evangelico sognava un mondo in pace e accogliente verso ragazzi di strada (che sentiva non diversi da sé). Così sentiva l'ideale della Comunità cui partecipava con passione: «Mettere alla stessa tavola i popoli del mondo».
Aveva vissuto, nei convegni di Pasqua, con Sant'Egidio, l'amicizia con giovani ruandesi e burundesi, scoprendo che tanti pregiudizi, nati dai conflitti e dalla storia, non avevano senso. Aveva capito che un giovane non poteva rassegnarsi agli odi etnici, al disprezzo dei poveri e al dominio del denaro in una società corrotta, in cui si diceva: «Non credere che sarai proprio tu a raddrizzare il Congo». Ma lui sentiva che, nel suo piccolo, poteva cominciare da sé e dai suoi amici a cambiarlo.
È venuta poi l'ora drammatica della prova. Posso far passare riso avariato che magari avvelenerà i ragazzi di Goma? Posso cedere al potere del denaro? Queste erano le domande che il giovane si poneva e condivideva con qualche amico. Confidava a una di loro: «Se accetto, vivo nel Cristo? Vivo per Cristo? Come cristiano non posso permettere che si sacrifichi la vita della gente. È meglio morire piuttosto che accettare quei soldi». Così è morto martire, mostrando che un giovane può resistere al male con la fede e con la "forza debole" del Vangelo.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 15/6/2025
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