Passa ai contenuti principali

"Noi, popolo della pace, non ci rassegniamo all’impotenza e all’indifferenza". Andrea Riccardi alla manifestazione a un anno dalla guerra in Ucraina


L'intervento di Andrea Riccardi alla Manifestazione per la Pace in Ucraina a Roma, 25 febbraio 2023 

C’era bisogno di venire qui proprio in questa data, per dire a un anno dalla guerra che noi non abbiamo smesso di credere nella pace. Dopo la brutale, inutile invasione dell’Ucraina non abbiamo smesso di credere nella pace. Anzi, oggi ci crediamo di più, crediamo di più al dovere della pace, per il tanto dolore, il male, le distruzioni.

Infatti, sia chiaro che quando noi parliamo di pace, parliamo di pace per l’Ucraina, un paese che ha pagato un prezzo altissimo in questi dodici mesi. Lasciatemi dire qualcosa su questo. Bombardamenti, cannoneggiamenti, 5milioni di persone che hanno perso la casa, migliaia di strutture sanitarie distrutte, ospedali, ambulatori. E poi soprattutto questo fatto impressionante, cari amici, la gente che fugge e restano solo quelli che non possono fuggire in alcune parti del paese, gli anziani e i fragili.

8 milioni su 43 milioni di ucraini hanno lasciato il paese, in Ucraina restano 35 milioni e mezzo di persone, ma una parte di essi non ha più casa, sono rifugiati. Cioè, questa guerra ha creato un terzo degli ucraini come profughi. 

L’Ucraina era il paese più povero d’Europa, ma ora è precipitato. 16milioni sono senza lavoro, l’economia si è ridotta del 30%. E guardiamo il 2023: 11milioni saranno nel bisogno alimentare, altri avranno bisogno di aiuti umanitari, 17milioni di persone. Ma l’auto umanitario verso l’Ucraina, nonostante tanti discorsi, sta diminuendo e la sofferenza degli ucraini aumenta.

Allora, cari amici, questa guerra e ogni guerra uccide tanto, uccide le donne e gli uomini, ma uccide la parola, lacera le relazioni e disumanizza. Ascoltiamo per un momento la voce di una donna che si è misurata con la Seconda guerra mondiale, Simone Weil, che ricordava come la guerra disumanizza. Lei era critica su alcuni aspetti del pacifismo, ma diceva: "Si parte come volontari con idee di sacrificio e si va a finire in una guerra che somiglia a una guerra da mercenari, crudele, immensamente crudele". Ogni giorno la guerra rende peggiori gli aggressori, ma disumanizza anche gli aggrediti.

Poi, cari amici, non dimentichiamolo, rischiamo un allargamento del conflitto. Siamo sotto l’incombente minaccia atomica e di fronte a tutto questo noi, popolo della pace, vogliamo dire che non ci rassegniamo all’impotenza e all’indifferenza. Io in questo anno mi sono andato a riguardare testimonianze della Seconda guerra mondiale, perché bisogna imparare dalla storia e non andare avanti come aggressori violenti. 

Un grande romanziere ebreo, che si uccise all’inizio della Seconda guerra mondiale, Stefan Zweig, dice: Io me ne stavo, come tutti gli altri, nella mia stanza come una mosca indifeso, impotente come una lumaca, ma era in gioco la mia vita.

Amici, noi siamo qui per dire forte che non restiamo chiusi nella nostra stanza, indifferenti o spaventati. Vogliamo ripetere la nostra scelta per la pace, che oggi è più forte di ieri. Scelta provata e consolidata da un anno di guerra, e di questa guerra!

Pace per l’Ucraina, pace per l’Europa e siamo convinti che l’Ucraina vivrà. Ma resta un grande interrogativo, come aiutare la pace? Non siamo solo degli utopisti, non siamo, come ci accusano, anime belle che fuggono la realtà. No, non credo, non siamo anime belle, ma siamo i più realisti e i più sensibili al dramma dell’Ucraina. Non siamo secondi a nessuno nell’amore per l’Ucraina e nell’affetto per questo popolo!

Coi nostri pensieri e la nostra volontà di pace vogliamo forzare l’attuale blocco della politica, un blocco non solo di noi cittadini qualunque, ma un blocco dei governanti, un blocco di tanti paesi, un blocco sul terreno, lo stallo militare. Il capo di stato maggiore degli Stati Uniti, Mark Milley, lo sappiamo tutti, ha dichiarato: I russi non sono in grado di sopraffare gli ucraini, ma è difficile che gli ucraini nel ’23 riescano a riconquistare i territori perduti.

E allora? Nel ’23 si vorrà continuare a combattere come quest’anno? Il ’23 sarà come il ’22? Ci vuole una alternativa e l’alternativa è attivare la diplomazia e la politica. Del resto, lasciatemelo dire, in un mondo complesso, complicato, conflittuale come il nostro, come quello globale non si vive senza diplomazia. La guerra è rozza, rigida, per comporre i conflitti, per comporre la nostra complessità. La guerra rassicura solo quelli che hanno paura di sperare, la guerra rassicura solo quelli che si abbandonano alle semplificazioni.

Bisogna investire di più sulla diplomazia e non disprezzare la zattera delle idee, delle proposte, dei piani di pace che possono aiutarci alla difficile traversata verso la pace.

Io lo ripeto, la pace non può essere impossibile, per l’Ucraina, ma anche per noi. Perché, come Maurizio Landini ha sottolineato varie volte, la guerra alla fine trasforma in peggio anche le nostre società.

Forse qualcuno di noi, e concludo, si è chiesto: che cosa abbiamo ottenuto in un anno? Ricordo la bellissima manifestazione il 5 novembre di San Giovanni, quando un popolo della pace è emerso dalla solitudine e dalla paura. Ma chi ha raccolto il nostro grido? Non abbiamo ottenuto la pace, sì, ma abbiamo avuto un grande risultato, la parola pace non è stata seppellita dalle armi, la parola pace non è stata seppellita dal conformismo della comunicazione.

E vorrei dire, noi esprimiamo il desiderio di pace dei popoli, il desiderio muto di pace dei piccoli, di chi non ha voce, quel desiderio non è andato perduto grazi al popolo della pace. La storia è piena di sorprese e ci sarà una sorpresa di pace.

Perché, come dice papa Francesco, ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. Non lasciamo peggiorare questo mondo, non lasciamo peggiorare la situazione ucraina a questa guerra ancora un anno.




Commenti

Post popolari in questo blog

La crisi in Giordania: a rischio un'oasi di pace nel caos del Medio Oriente

Il regno di Abdallah confina con Israele, Siria, Arabia Saudita e Iraq e ospita un altissimo numero di rifugiati Tutto è complicato e in movimento in Medio Oriente: le crisi si susseguono. Un solo Paese è stabile: la Giordania, su cui regnano gli hashemiti, famiglia che discende dal profeta Maometto. Ora il re Abdallah è stato scosso da una congiura, che coinvolge il fratellastro, principe Hamzah (un tempo erede al trono, che poi ha dovuto lasciare il posto al figlio di Abdallah). Il re ha assicurato che la situazione è sotto controllo e Hamzah ha dichiarato fedeltà al sovrano.  È una faida da famiglia reale, forse un po' più significativa di quella dei Windsor, con le rivelazioni del principe Harry e della moglie Meghan. Si gioca la stabilità di uno Stato al confine di Israele, Siria, Arabia Saudita e Iraq, che si affaccia sul Mar Rosso con il porto di Aqaba.  C'è stato un grande allarme internazionale. Il presidente Biden ha telefonato al re per sostenerlo. La crisi sembra r

La "forza debole" della preghiera può spostare le montagne

Il cardinale Matteo Maria Zuppi con il presidente Joe Biden Il cardinale Zuppi è stato a Washington dal 17 al 19 luglio dove ha incontrato anche il presidente Biden . Nel lungo e cordiale incontro, il cardinale gli ha consegnato una lettera di Francesco e gli ha manifestato "il dolore del Papa per la sofferenza causata dalla guerra". La sofferenza della guerra è stata al centro del colloquio. L'inviato del Papa si è chiesto come alleviarla. Le questioni umanitarie sono state un tema rilevante nelle conversazioni perché la Santa Sede è molto impegnata su di esse. Il colloquio ha toccato gli sviluppi del conflitto, iniziato un anno e mezzo fa con l'attacco russo. La Santa Sede, come ha già manifestato il card. Zuppi sia a Kyiv che a Mosca, è preoccupata per il suo prolungarsi. Nel viaggio a Kyiv il cardinale aveva constatato le condizioni di vita del popolo ucraino. A sua volta l'elemosiniere del papa, il card. Krajewski, si è recato più volte in Ucraina, anche in r

La Chiesa non si deve rassegnare a un paese fatto di "sonnambuli": dalla sua storia e dal suo vissuto emergono energie di fede e speranza che fanno bene a tutti, vecchi e nuovi italiani

Migranti latinoamericani a messa dal Papa Sono "sonnambuli" gli italiani secondo il rapporto del Censis. Ma una comunità con meno fedeli ha energie di fede In che mondo gli italiani vivono la loro fede? Il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, la  57a edizione di un'analisi che ha accompagnato la storia italiana, ci aiuta - grazie alle intuizioni di Giuseppe De Rita - a guardare alle dinamiche del presente e del futuro. Non si può pensare alla fede fuori dalla realtà umana degli italiani. Tante volte l'idea di cambiare la Chiesa viene declinata in maniera interna e autoreferenziale. Gli italiani, oggi, non sono quelli che vissero il Vaticano II o le crisi vitali degli anni Sessanta-Settanta. Non sono il Paese "forte", che resistette al terrorismo, in cui il cattolicesimo era una componente decisiva.  Oggi - dice il rapporto - l'Italia è un Paese di "sonnambuli": «il portato antropologico della difficile transizione dalla grammat