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La nostra è la rivoluzione della compassione e della tenerezza. I cinquantacinque anni di Sant'Egidio

Il card. Matteo Zuppi alla celebrazione del 55° anniversario di Sant'Egidio il 9 Febbraio - Foto Sant'Egidio

Nasce tra gli studenti e le periferie in pieno Sessantotto per sostenere il sogno di una Chiesa di tutti e soprattutto dei poveri

La Comunità di Sant'Egidio compie cinquantacinque anni. Il direttore mi ha chiesto di dire qualcosa in proposito. La Comunità viene da più di mezzo secolo di vita a Roma, dove nacque tra gli studenti (allora in piena effervescenza con il '68) e nelle periferie umane e urbane della capitale. 

Erano i tempi del post Concilio, in cui la Parola di Dio sembrava restituita all'affetto e alla lettura del popolo. Questo spingeva a un nuovo ascolto della Parola, e - come diceva il cardinale Martini, un amico della Comunità - a vivere e pensare biblicamente. Così, dovunque è, la Comunità si ritrova la sera a pregare e ad ascoltare la Parola di Dio: dalla bella basilica romana di Santa Maria in Trastevere a vari luoghi in Francia, fino in Mozambico, in Burundi, in Indonesia, a San Salvador o a Cuba. Sant'Egidio è una Comunità di popolo, attorno alla Parola di Dio e con i poveri. 

Infatti nei tempi dell'inizio era risuonato il sogno di Giovanni XXIII, poco prima del Concilio: "Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri". Prendere sul serio questo sogno, che sgorga dalle pagine del Vangelo, non è una costruzione ideologica, ma vuole dire incontrare i poveri personalmente, legarsi a essi, ascoltarli come amici e parenti. 

Sant'Egidio, in Italia, in Europa, in Africa, piccola o meno piccola che sia, ha una storia di legami, amicizia e servizio con i poveri di varie periferie e condizioni: a partire dagli anziani nel bisogno, a chi soffre emarginazione, disabilità, ai malati di AIDS in Africa, o ai bambini invisibili senza cittadinanza o che vivono in strada, a chi non ha casa, è solo, ferito dalla vita. Non si tratta qui di elencare iniziative, ma di indicare lo spirito in cui camminano le Comunità di Sant'Egidio nella storia dei nostri giorni: l'amicizia con i poveri. 

Papa Francesco, incontrando Sant'Egidio nel 2014, ha detto: «Andate avanti su questa strada: preghiera, poveri e pace. E camminando così aiutate a far crescere la compassione nel cuore della società - che è la vera rivoluzione, quella della compassione e della tenerezza -, a far crescere l'amicizia al posto dei fantasmi dell'inimicizia e dell'indifferenza». Preghiera, poveri e pace. Quando si parla di pace, ci si riferisce alla pacificazione, come nel 1992 in Mozambico, dove era stato ucciso un milione di persone o, oggi, nel Sud Sudan. 

La guerra, infatti, è la madre di tutte le povertà. Ogni Comunità opera per la pace dove si trova, nel dialogo con gli altri: i musulmani dove i cristiani sono minoranza, come in Pakistan. Il dialogo tra le religioni, tra i leader ma anche tra la gente, ha preso forza nella Comunità a partire dalla preghiera perla pace, voluta da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986. Francesco ha detto a Sant'Egidio: «Il mondo soffoca senza dialogo». Questo mondo globale, dove c'è bisogno di capirsi per vivere insieme, spesso sembra andare in frantumi nei conflitti o nelle contrapposizioni. Sant'Egidio ritesse quanto è lacerato, attraverso il dialogo e con il lavoro di ciascuno. 

È un "artigianato" dei ponti, come con i corridoi umanitari che hanno portato in Europa, in sicurezza, profughi siriani, afgani, del Corno d'Africa, scampati ai lager libici. Oppure l'aiuto umanitario all'Ucraina dove Sant'Egidio vive da più di due decenni. Un rabbino italiano ha scritto: «La Comunità di Sant`Egidio rappresenta per il mondo intero la funzione di richiamo dello Shofar [il corno d`ariete usato nella liturgia ebraica], l'annuncio della Parola per il miglioramento del mondo, consci della responsabilità collettiva del genere umano».


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 19/2/2023

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