Nella settimana del 60mo anniversario dei Trattati di Roma, che celebra l'avvio del processo di unificazione europea, l'Unione si trova ad affrontare grosse sfide: le spinte centrifughe, le politiche di chiusura dei confini, la Brexit, e anche, ce lo ha drammaticamente ricordato l'attentato di ieri a Londra, la minaccia terroristica. Tuttavia, nota in questo editoriale Andrea Riccardi, ci sono notizie positive, come quella giunta la settimana scorsa dall'Olanda. Il risultato delle elezioni olandesi - afferma - fa ben sperare per quelle francesi, dove non è scontato che Marine Le Pen possa essere fermata (l'articolo verrà pubblicato su Famiglia Cristiana del 26 marzo 2017)
L'accoglienza di Trump alla cancelliera Merkel alla Casa Bianca è stata fredda. Eppure si trattava del primo viaggio di un leader dell'Unione europea dal nuovo presidente del più importante Paese del continente, con la quarta economia del mondo. Che ci siano divergenze tra alleati è normale, ma colpisce l'atteggiamento quasi scostante di Trump. Forse è un messaggio per l'elettorato americano: il nuovo Governo si disinteressa dell'Europa e si occuperà di problemi interni. Ma la Germania è un grande alleato degli Usa: sul suo territorio sono stanziati 56.200 militari, il più grosso contingente americano all'estero. Che messaggio si dà al mondo? Bisogna essere attenti al linguaggio: espressioni dure, antagonistiche, fredde o aggressive sono pericolose in un tempo di relazioni internazionali fluide, in cui ogni Paese gioca da solo. Invece la cancelliera tedesca rappresenta uno Stato che crede ancora a un linguaggio diplomatico di dialogo e che non gioca da solo ma all'interno dell'Unione e dell'alleanza occidentale. Il linguaggio tra i leader degli Stati non può essere quello virulento delle campagne elettorali e della politica interna. Purtroppo abbiamo visto recentemente un intreccio sconcertante tra politica interna e rapporti internazionali nella campagna elettorale olandese. Il capo del partito liberale Vvd, Mark Rutte, ha rifiutato il permesso a due ministri turchi di entrare in Olanda per un comizio nel quadro del referendum in Turchia. Si è trattato di una decisione, alla vigilia delle elezioni olandesi, per contrastare la propaganda di Geert Wilders, capo del partito populista schierato contro l'islam e l'Unione. I comizi di ministri stranieri ai loro connazionali in Paesi esteri capitano talvolta (li fanno anche gli italiani), ma il momento era incandescente. Il presidente turco Erdogan ha risposto duramente agli olandesi accusandoli di fascismo e razzismo e criticando aspramente la Merkel che li appoggiava.
Del resto, la partita in Olanda era veramente grossa, seguita con ansietà dall'Europa. Dopo Brexit, non poteva uscire anche l'Olanda. È andata bene: i populisti di Wilders (che volevano un referendum per andarsene dall'Unione e chiedevano di chiudere le moschee) non hanno vinto. Il sistema proporzionale olandese, facendo perno sul partito di Rutte, consente un Governo che ha quasi la maggioranza alla Camera bassa. Due fatti notevoli si sono registrati in Olanda: l'alto numero di votanti, oltre l'80%, e l'affermazione della nuova sinistra ecologista di Jesse Klave. Le elezioni olandesi fanno ben sperare per quelle francesi tra un mese, dove non è del tutto scontato che Marine Le Pen possa essere fermata, soprattutto in caso di fuga dal voto.
L'accoglienza di Trump alla cancelliera Merkel alla Casa Bianca è stata fredda. Eppure si trattava del primo viaggio di un leader dell'Unione europea dal nuovo presidente del più importante Paese del continente, con la quarta economia del mondo. Che ci siano divergenze tra alleati è normale, ma colpisce l'atteggiamento quasi scostante di Trump. Forse è un messaggio per l'elettorato americano: il nuovo Governo si disinteressa dell'Europa e si occuperà di problemi interni. Ma la Germania è un grande alleato degli Usa: sul suo territorio sono stanziati 56.200 militari, il più grosso contingente americano all'estero. Che messaggio si dà al mondo? Bisogna essere attenti al linguaggio: espressioni dure, antagonistiche, fredde o aggressive sono pericolose in un tempo di relazioni internazionali fluide, in cui ogni Paese gioca da solo. Invece la cancelliera tedesca rappresenta uno Stato che crede ancora a un linguaggio diplomatico di dialogo e che non gioca da solo ma all'interno dell'Unione e dell'alleanza occidentale. Il linguaggio tra i leader degli Stati non può essere quello virulento delle campagne elettorali e della politica interna. Purtroppo abbiamo visto recentemente un intreccio sconcertante tra politica interna e rapporti internazionali nella campagna elettorale olandese. Il capo del partito liberale Vvd, Mark Rutte, ha rifiutato il permesso a due ministri turchi di entrare in Olanda per un comizio nel quadro del referendum in Turchia. Si è trattato di una decisione, alla vigilia delle elezioni olandesi, per contrastare la propaganda di Geert Wilders, capo del partito populista schierato contro l'islam e l'Unione. I comizi di ministri stranieri ai loro connazionali in Paesi esteri capitano talvolta (li fanno anche gli italiani), ma il momento era incandescente. Il presidente turco Erdogan ha risposto duramente agli olandesi accusandoli di fascismo e razzismo e criticando aspramente la Merkel che li appoggiava.
Del resto, la partita in Olanda era veramente grossa, seguita con ansietà dall'Europa. Dopo Brexit, non poteva uscire anche l'Olanda. È andata bene: i populisti di Wilders (che volevano un referendum per andarsene dall'Unione e chiedevano di chiudere le moschee) non hanno vinto. Il sistema proporzionale olandese, facendo perno sul partito di Rutte, consente un Governo che ha quasi la maggioranza alla Camera bassa. Due fatti notevoli si sono registrati in Olanda: l'alto numero di votanti, oltre l'80%, e l'affermazione della nuova sinistra ecologista di Jesse Klave. Le elezioni olandesi fanno ben sperare per quelle francesi tra un mese, dove non è del tutto scontato che Marine Le Pen possa essere fermata, soprattutto in caso di fuga dal voto.
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