Un editoriale di Andrea Riccardi per Famiglia Cristiana del 2 aprile 2017 invita a non scandalizzarsi per le divergenze, che sono il frutto della democrazia. "L'Europa è cambiata in meglio - afferma l'autore - I leader nel 1957 erano 6 ora sono 27".
L'Europa torna in Campidoglio. Nel 1957, i Paesi all'inizio del processo di unificazione erano sei. Oggi, sessant'anni dopo, sono 27. Il numero mostra la storia alle spalle di questo successo. Il continente è cambiato, e in meglio. È avvenuta la liberazione dal fascismo di Spagna e Portogallo. C'è stata la caduta del Muro di Berlino, che ha permesso la riunificazione della Germania e l'ingresso nell'Unione da parte dei Paesi dell'Europa centrale e orientale, fino al 1989 sotto l'egemonia dell'Urss.
È finito il colonialismo europeo: nel 1957 la Francia era alla vigilia della sanguinosa guerra d'Algeria. Sono vicende positive, mentre la prima metà del '900 ha conosciuto il fascismo e il nazismo, le dittature comuniste e due terribili guerre. Non bisogna dimenticare questa storia di morti e di grandi sofferenze, quando si guarda ai leader europei riuniti al Campidoglio: un messaggio
altamente positivo che fatica a venire da altre macroaree (Asia, America latina, mondo arabo), con l'eccezione africana che si è dotata di un'Unione, che però ha ancora molte carenze.
Quello europeo è un grande risultato di cui ci possiamo accorgere se usciamo dalla cronaca e guardiamo i fatti, nella prospettiva della storia. Si è temuto che la premier polacca, Beata Szydio, non firmasse il documento condusivo. Alexis Tsipras, primo ministro greco, aveva suscitato problemi. Le incertezze sono congeniali alla politica europea. Non bisogna scandalizzarsi. In Europa si determinano spesso oscillazioni, perché le decisioni sono frutto di concertazioni. E queste, in un tempo di politiche gridate, sembrano incertezze. In realtà sono il frutto della democrazia europea: uniti, ma non eguali. Tuttavia, la ricerca dell'unanimità non può bloccare sviluppi ulteriori verso l'unità: di fronte alle novità dello scenario mondiale, l'Europa deve necessariamente essere un polo coeso. Così l'accordo di Roma (un testo di compromesso) prevede: «Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi, se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione». Ci possono essere intensità diverse nell'azione congiunta degli Stati: insomma un'Europa a più velocità non porterà al divorzio. I Paesi dell'Est, che non vogliono una maggiore unificazione, temono però le fughe in avanti di altri Stati, specie dell'Europa occidentale. Tuttavia sarà necessario rendere possibili azioni e processi unitari a quegli Stati che ne sentano l'esigenza e la responsabilità. È una porta aperta a un'Europa più stretta. Un importante passo avanti è stato fatto sulla difesa comune. A suo modo, l'Unione va avanti e mostra di rappresentare nel mondo uno spazio di pace e di prosperità.
L'Europa torna in Campidoglio. Nel 1957, i Paesi all'inizio del processo di unificazione erano sei. Oggi, sessant'anni dopo, sono 27. Il numero mostra la storia alle spalle di questo successo. Il continente è cambiato, e in meglio. È avvenuta la liberazione dal fascismo di Spagna e Portogallo. C'è stata la caduta del Muro di Berlino, che ha permesso la riunificazione della Germania e l'ingresso nell'Unione da parte dei Paesi dell'Europa centrale e orientale, fino al 1989 sotto l'egemonia dell'Urss.
È finito il colonialismo europeo: nel 1957 la Francia era alla vigilia della sanguinosa guerra d'Algeria. Sono vicende positive, mentre la prima metà del '900 ha conosciuto il fascismo e il nazismo, le dittature comuniste e due terribili guerre. Non bisogna dimenticare questa storia di morti e di grandi sofferenze, quando si guarda ai leader europei riuniti al Campidoglio: un messaggio
altamente positivo che fatica a venire da altre macroaree (Asia, America latina, mondo arabo), con l'eccezione africana che si è dotata di un'Unione, che però ha ancora molte carenze.
Quello europeo è un grande risultato di cui ci possiamo accorgere se usciamo dalla cronaca e guardiamo i fatti, nella prospettiva della storia. Si è temuto che la premier polacca, Beata Szydio, non firmasse il documento condusivo. Alexis Tsipras, primo ministro greco, aveva suscitato problemi. Le incertezze sono congeniali alla politica europea. Non bisogna scandalizzarsi. In Europa si determinano spesso oscillazioni, perché le decisioni sono frutto di concertazioni. E queste, in un tempo di politiche gridate, sembrano incertezze. In realtà sono il frutto della democrazia europea: uniti, ma non eguali. Tuttavia, la ricerca dell'unanimità non può bloccare sviluppi ulteriori verso l'unità: di fronte alle novità dello scenario mondiale, l'Europa deve necessariamente essere un polo coeso. Così l'accordo di Roma (un testo di compromesso) prevede: «Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi, se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione». Ci possono essere intensità diverse nell'azione congiunta degli Stati: insomma un'Europa a più velocità non porterà al divorzio. I Paesi dell'Est, che non vogliono una maggiore unificazione, temono però le fughe in avanti di altri Stati, specie dell'Europa occidentale. Tuttavia sarà necessario rendere possibili azioni e processi unitari a quegli Stati che ne sentano l'esigenza e la responsabilità. È una porta aperta a un'Europa più stretta. Un importante passo avanti è stato fatto sulla difesa comune. A suo modo, l'Unione va avanti e mostra di rappresentare nel mondo uno spazio di pace e di prosperità.
Commenti
Posta un commento