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Se vent'anni dopo l'Italia risfodera l'esercito di leva

Soldati italiani nel cortile del Palazzo Ducale di Venezia nel 1990 - Foto Meierhofer da Wikimedia Commons

Questo clima aumenta l'ansia dei giovani, che vivono una stagione di incertezza sul futuro

Si può produrre ora più armi, a motivo del clima bellico in Europa, in verità utili a rappezzare un'industria automobilistica in crisi. Poi è sorta la domanda: chi le imbraccerà? Rinasce l'idea della leva obbligatoria o del Servizio nazionale (si dice in Francia). In vari Paesi si riflette sul ripristino della leva, seppure non universale: si pensa d'incentivare i giovani ad arruolarsi, pur evitando l'obbligatorietà.

Rafforzare la difesa appare necessario di fronte al pericolo (per alcuni imminente) di attacco nemico (oggi la Russia) o di guerra ad alta intensità. Si parla pure di scuola di coesione nazionale e, in genere, di "fare ordine" nel mondo giovanile un po' sfilacciato e demotivato. Tra i 27 Stati dell'Ue alcuni hanno la leva obbligatoria (Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Grecia, Estonia, Lettonia); altri ne valutano il ritorno (Germania, Paesi Bassi, Francia); alcuni usano il sorteggio (Lituania), altri la selezione (Svezia e Norvegia). Sono estranei all'idea della leva Belgio e Spagna, oltre al Regno Unito, extra Ue. Molti si chiedono come sia possibile la coscrizione in un continente in cui l'età media è di circa 44 anni, con l'Italia ultima attorno ai 48, mentre i diciottenni si sono ridotti della metà dagli anni Ottanta a oggi. 

In Italia, la leva è abolita dal 2005, in forma di una "sospensione definitiva": la legge prevede che il servizio possa essere ripristinato solo in caso di guerra o grave crisi internazionale. In tali eventualità il ripristino avviene per decreto del Presidente della Repubblica. È utile ricordare che allora il dibattito non s'incentrò tanto sul servizio civile. 

Furono importanti le motivazioni militari: si preferisce un esercito professionale, come in altri Paesi occidentali, una forza più piccola ed efficiente, al posto di truppe pletoriche con migliaia di giovani (cui non si sapeva bene cosa far fare). Gli alti gradi militari furono ben felici di disfarsi del fardello d'una quantità inutile di giovani per concentrarsi su un esercito selezionato e pronto per operazioni speciali, com'è avvenuto con buoni risultati. 

L'attuale dibattito non si limita a ragioni oggettive, ma corrisponde piuttosto alla scelta di un cambiamento antropologico. Sembra che non solo i Paesi abbiano bisogno di strumenti e personale per la difesa, ma anche di una popolazione consapevole che la guerra possa avvenire nel prossimo futuro. 

Il capo di Stato maggiore francese ha recentemente dichiarato (non senza ricevere molte critiche) che bisogna prepararsi ad accettare di perdere i propri figli e che una guerra è possibile in tempi non lunghi. In Germania, il ministro dell'Interno ha chiesto d'integrare l'educazione degli studenti con due ore sulla "preparazione alle crisi e alla guerra". Il cancelliere Merz ha definito un "errore" l'abolizione della leva obbligatoria. 

Dal 2024 i giovani polacchi vengono invitati a passare un periodo di "vacanza con l'esercito" e già in 10 mila hanno aderito. Programmi simili sono allo studio in vari Paesi. 

Questo clima aumenta l'ansia dei giovani, che vivono una stagione di incertezza sul loro futuro. Non invoca certo le coppie ad avere figli. 

E tutto sommato appare una "mobilitazione" abbastanza inutile. In ogni modo si alimenta la paura, che - specie sui giovani - non ha sempre un effetto di responsabilizzazione.


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 14/12/2025

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