Si chiude l'anno. Vengono spontanei i bilanci. Se ci guardiamo attorno, è difficile un bilancio positivo. Ci sono troppe guerre in corso.
Il disordine internazionale è forte: tutti contro tutti. Così il futuro non è rassicurante. Ci si sente esposti. L'Europa è criticata per la sua staticità.
La nostra Italia, ancora ricca complessivamente e rispetto ad altri, registra povertà crescenti e un diffuso malessere. Il malessere prende gli anziani che crescono di numero e vorrebbero più famiglia e più cure. Tocca i giovani che guardano al futuro, preoccupati per il lavoro che manca.
Il malessere riguarda tutti. Quale la sua origine? Tante, ma soprattutto la mancanza di speranza. Lo mostra il pessimismo diffuso. Il Giubileo riguarda la speranza. Per un anno Francesco e Leone l'hanno predicata.
La speranza non è la fiducia in un progresso costante per sé e per la società. Per Mircea Eliade, studioso delle religioni, questa è come una moderna superstizione, tanto che scriveva: «Nel frattempo, gli uomini ci muoiono accanto». E poi siamo in un mondo dove si vive, spessissimo, solo alla prima persona singolare, nella dimensione dell'io e pochissimo del noi. L'io è, di per sé, fragile. L'egocentrismo e l'egoismo sembrano un'affermazione forte di sé stessi. Non è così.
L'io è fragile da solo. Il Giubileo invita ad alzare la testa e a guardare in alto: «Sei tu, mio Signore, la mia speranza», ha ricordato Leone XIV, citando il Salmo 71. Il Salmo si recita insieme, in un "noi", quello di un popolo in cammino verso il futuro.
La speranza si ritrova in un popolo che ha una visione larga: rendere più umano il mondo, ma soprattutto accogliere il regno di Dio che viene come dono. L'ha insegnato la Parola di Dio, domenica dopo domenica, in Avvento.
Ognuno di noi può dare un contributo di speranza al mondo vicino che si ripercuote lontano. Lo debbono dare i cristiani in una società troppo avvolta dal pessimismo, che perde forza e volontà di un futuro comune e più umano per tutti. Bonhoeffer scriveva: «L'ottimismo non è un modo di vedere la situazione presente ma è un'energia vitale, una forza della speranza laddove altri si sono rassegnati». L'ottimismo è - aggiungeva - la forza che non lascia il futuro all'avversario, ma lo reclama per sé: «L'ottimismo come volontà di futuro non dev'essere mai disprezzato anche se porta a sbagliare cento volte...». Era il Natale 1942 e Bonhoeffer viveva una situazione difficile nella Germania nazista in guerra: sperava e agiva per un cambiamento. Allora scrisse e distribuì agli amici un'operetta. con un intero capitolo dedicate all'ottimismo in cui si leggono queste righe, che amo molto e cito volentieri. Non voleva lasciare il futuro all'avversario, il nazismo. Ma il male è sempre un avversario che assume tante forme.
Mi chiedo perché scrivo di speranza e futuro in questo modo. Ho ormai vissuto parecchi decenni e non sono più giovane. Il mio futuro è limitato, ma s'illumina dentro uno più grande, nella speranza di un popolo.
Quella speranza ha bisogno di tutti: giovani, adulti, anziani. Diceva don Pino Puglisi, che voleva cambiare il futuro di un quartiere dominato dalla mafia e dei suoi giovani: «Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto».
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 28/12/2025

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