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Il boia è sempre al lavoro: l'escalation delle esecuzioni

Foto Sant'Egidio

Oltre il 90% in Iran, Iraq e Arabia Saudita, ma più di due terzi degli Stati Onu chiedono la moratoria

Amnesty International ha pubblicato il rapporto annuale sulla pena di morte per il 2024, rilevando dati apparentemente contraddittori. Anzitutto la crescita di esecuzioni a livello globale con l'apice di 1.515. Iran, Iraq e Arabia Saudita sono responsabili del 91% delle esecuzioni note, registrandone l'impressionante totale di 1.380, mentre non si può quantificare quanto avviene in Cina, Corea del Nord e Vietnam. 

Diminuiscono però gli Stati che applicano la pena capitale o la mantengono nei loro ordinamenti. Sono 113 i Paesi che l'hanno abolita e 145 quelli che l'hanno eliminata dalle leggi o dalla prassi. 

Per la prima volta, più di due terzi degli Stati membri dell'Onu hanno votato la decima risoluzione dell'Assemblea generale per la moratoria della pena di morte. Prezioso è il magistero di Francesco, che afferma: «La pena di morte è inammissibile perché attenta all'inviolabilità e dignità della persona» e quindi la Chiesa s'impegna per l'abolizione ovunque. 

Alcuni fatti mostrano la bontà del cammino intrapreso: le riforme adottate in Malesia hanno ridotto di oltre mille persone la popolazione dei bracci della morte. Lo Zimbabwe ha abolito la pena di morte per i reati comuni. Lo Zambia ha firmato il Protocollo sui diritti civili e politici che bandisce definitivamente la pena capitale e ne impedisce il ripristino. 

Cultura della vita e cultura della morte si affrontano in un'epoca assuefatta alla violenza, mentre ci sono ben 56 conflitti aperti nel mondo. La pena capitale, pietra tombale della speranza di perdono e riabilitazione, è un esorcismo del male cui si risponde con altro male, pianificato con il concorso di Stato, istituzioni, opinione pubblica incitata alla vendetta. La Repubblica Democratica del Congo, in controtendenza, ha sospeso la moratoria della pena di morte ed è tornata a uccidere. Significativo il fatto che il presidente Trump chieda che i 37 carcerati, graziati da Biden da una condanna a morte federale, abbiano condizioni detentive «coerenti con la mostruosità dei loro crimini e le minacce che rappresentano». Ha poi chiesto la pronta messa in opera di tutte le sentenze, fra cui undici esecuzioni statali previste nel 2025 e le tre federali escluse dal decreto Biden. Riprende così la "mattanza". Questa giustizia "retributiva" giustifica oggi in alcuni Stati l'uso dell'azoto, orrendamente testato su Kenneth Smith in Alabama, il 24 gennaio scorso, cui sono seguite le esecuzioni di Carey Grayson e Alan Eugene Miller, e - in Louisiana - di Jessie Hoffman. La comunità ebraica locale ha protestato contro l'esecuzione di Hoffman: «Ci sembra ripugnante, a causa del modo in cui quel metodo di esecuzione è così orribilmente e intrinsecamente legato alla decimazione del nostro popolo». 

Il 7 marzo 2025, in South Carolina, è stato riesumato il plotone di esecuzione per uccidere Brad Sigmon, come per tre condannati precedenti. A fare da contrappunto, i recenti sondaggi Gallup rivelano che più della metà dei giovani adulti americani, tra 18 e 43 anni, si oppone alla pena capitale. I progressi compiuti per relegare questa pena al passato devono essere implementati con nuovo vigore. La Pasqua, che fa memoria della condanna a morte dell'unico giusto, deve dare nuovo impulso ai cristiani su questa strada ed è pegno di un'umanità misericordiosa e giusta. 


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 27/4/2025

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