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Zaki, l'ombra oscura di un tragico abbaglio

Il nuovo poster dedicato a Patrick Zaki e Giulio Regeni della street artist Laika - Foto da open.online
Il ragazzo, cristiano copto, non violento, studia a Bologna: rigetta l'accusa di fiancheggiare il terrorismo. La sua storia evoca tristemente quella di Giulio Regeni

Patrick George Zaki è uno studente egiziano dell'Università di Bologna, 27 anni, già laureato in Farmacia in patria. Il 7 febbraio scorso è stato arrestato all'aeroporto del Cairo: tornava a casa, a Mansura, città del Delta del Nilo dove è nato anche il papa della Chiesa copta Tawadros II.
Patrick Zaki, un ragazzo colto e appassionato di diritti umani, è cristiano copto. Dopo l'arresto, i suoi amici di Bologna hanno subito dato l'allarme. Troppo forte è l'impressione del caso di Giulio Regeni, ucciso all'inizio del 2016 dopo orribili torture, su cui non si è fatta ancora luce, nonostante la
grande mobilitazione dei genitori e di molti connazionali. L'opinione pubblica italiana non ha fiducia nei metodi della polizia e dei servizi egiziani.
Quali le accuse a Patrick? Avrebbe pubblicato false notizie, incitato alla protesta fino al rovesciamento dello Stato. Questo sarebbe avvenuto specialmente attraverso i social media, turbando l'ordine sociale e incoraggiando alla violenza terroristica. Le testimonianze sul giovane egiziano sono di altro segno: è un difensore dei diritti umani, un democratico, assolutamente non violento.
A Bologna tutti hanno la sensazione di un ragazzo trasparente e libero.
Durante la prima udienza, cui erano presenti quattro diplomatici (tra cui uno italiano), Patrick ha raccontato: «Mi hanno tenuto bendato 12 ore. Picchiato in viso. Mi hanno torturato con l'elettricità. Mi hanno fatto spogliare».
Ha affermato la sua innocenza, denunciando anche le dure condizioni di carcerazione: «Mi tengono in un posto terribile: una cella con 35 detenuti e un solo bagno. Un grande stanzone con una porta piccolissima». Il 22 febbraio c'è la prossima udienza. Che si teme possa essere l'inizio di un calvario per il giovane, perché la legge egiziana prevede due anni di custodia cautelare. L'opinione pubblica internazionale segue con attenzione il caso, consapevole che la vita degli oppositori in Egitto è assai dura e il loro spazio molto ristretto.
Il numero dei detenuti politici in Egitto sembra aggirarsi tra i 50 mila e i 60 mila (al tempo di Mubarak erano circa 40 mila). La repressione condotta dal Governo egiziano viene motivata con la lotta al radicalismo e al terrorismo islamista (che è una realtà nel Paese). L'Egitto, tra il 2012 e il 2013, è stato guidato dai Fratelli musulmani, vincitori delle elezioni, rovesciati però dal colpo di Stato che ha portato al potere l'attuale presidente Al Sisi. Oggi, in nome del contrasto all'islamismo, si opera una repressione in tutto il Paese e verso l'opposizione di ogni tipo. È una vicenda simile a quella di alcune dittature novecentesche che, in nome della lotta al comunismo, impedivano libertà e democrazia. E poi l'Egitto è forte nel quadro internazionale e in Libia, e ha importanti risorse energetiche: questo rende prudenti i Paesi occidentali.
Ma non si lotta contro il totalitarismo islamista comprimendo le libertà. E poi com'è possibile accusare Patrick Zaki di essere un terrorista, quando è un cristiano copto non violento e impegnato per i diritti umani?

Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana   del 23/2/2020

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