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Bisogna dare un governo alla Libia. Il paese ostaggio delle milizie

Questo dovrebbe essere l'obiettivo dell'Europa, che invece è ossessionata dalla questione dei migranti. Di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana

Gli ultimi scontri di Tripoli sono stati una battaglia per l'accaparramento delle risorse. Il cartello delle quattro milizie, che controlla la capitale e l'economia, non voleva altri con cui spartirla. La condizione della Libia è questa: in mano a un centinaio di milizie che chiedono il "pizzo" in un saccheggio permanente su tutto, specie l'orrido commercio di migranti. Il fragile governo Serraj, sostenuto dall'Onu, è ostaggio di alcune milizie. La predazione dei signori della guerra avviene su ogni commercio, nomina, decisione. Le milizie competono nel quadro di un sistema mafioso, violento e pervasivo. Lo sguardo degli occidentali è miope. Guardano alla Libia secondo le priorità interne, prima tra tutte i migranti. Si va in ordine sparso a chiedere il "favore" di trattenerli. Gli interlocutori sono predatori e ne approfittano. Inviare motovedette o aiuti a una parte è percepito come sostegno dall'altra. Scattano rivalse, cambi di alleanze, scontri armati, ricatti.
Il generale Haftar, da anni apparentemente "antimilizie", si offre di riunirle sotto il suo comando. Ma la situazione dei gruppi armati che lo sostengono non differisce dal quadrante tripolino. Inoltre Haftar deve tener conto degli interessi dell'Egitto sulla Cirenaica e della sua avversione ai gruppi islamisti. Dopo che il Paese era stato messo a soqquadro dalle due coalizioni (Alba per la Libia e Dignità) che si battevano dal 2013, a Skirat nel 2015 vi fu un primo accordo Onu da cui scaturì il Governo Serraj e il consiglio presidenziale a nove. Il testo era favorevole al Parlamento e al "Governo" di Tobruk e invece non piaceva alla parte Tripoli-Misurata. Ma Tobruk tirò troppo la corda e non firmò, lasciando spazio agli altri. Da quel momento la divisione in due del Paese è ufficializzata: due Parlamenti e due Governi. L'emergenza migratoria europea ha fatto il resto, con il corollario delle diatribe italo-francesi. Nessuno si è concentrato sull'essenziale: il negoziato politico per ricostruire le istituzioni dello Stato, controllando il territorio e procedendo al disarmo. Solo allora si avranno veri interlocutori in Libia. L'idea di Macron era fare le elezioni a fine anno. Oggi sembra difficile. La conferenza, voluta dall'Italia per novembre - cui lavorano Conte e Moavero - può essere una svolta. Ma Francia e Italia devono accordarsi. Vanno coinvolti i tanti soggetti interessati: Russia, Usa, Turchia, Egitto, Algeria eccetera. Cruciale è la presenza delle tribù e delle milizie al tavolo del dialogo. Infine deve trattarsi di un negoziato non ossessionato dallo "scambio migratorio". Tuttavia, più aumenta il disordine e più diviene disperata la situazione dei molti migranti (antichi e recenti) in Libia. Bisogna mettere fine al conflitto che ha reso il Paese una polveriera. Questo avverrà solo ricostruendo l`autorità dello Stato e delle istituzioni. E poi vanno evitate altre "Libie", cioè nuovi Stati falliti nella regione nord-africana e saheliana, nati dal contagio del caos libico.

Editoriale per Famiglia Cristiana del 16/9/2018

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