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L'Iraq ci dice che anche nel secolo dei diritti umani non c'è posto per i gruppi minoritari

Curdi, cristiani, ebrei, yazidi: pur perseguitati, sono sopravvissuti per secoli. Ma sembra non possano più restare in Iraq, scrive Andrea Riccardi sul magazine Sette del Corriere della Sera

L'Iraq sotto il regime di Saddam Hussein era un Paese in preda a un regime violento. La repressione era fortissima. Lo sanno i dissidenti, imprigionati, uccisi, torturati. Lo sanno i curdi, il 17% degli abitanti, che rivendicavano l'autonomia. Negli anni Ottanta Saddam usò anche le armi chimiche contro di loro. Più della metà della popolazione irachena, gli sciiti, ha subito una repressione feroce dal regime, espressione dell'egemonia sunnita (minoritaria ma al potere dal 1921). Le figure politiche sciite furono colpite da una dittatura violenta che non tollerava differenze. Anche l'autorità dei grandi ayatollah di Najiaf, la città santa sciita, non fu rispettata del tutto: nel 1999 fu assassinato il grande ayatollah Sadiq al-Sadr.
Il grande ayatollah Al Sistani è oggi la maggiore figura di riferimento per gli sciiti iracheni che emerge da questa storia dolorosa. Il regime di Saddam non ha nulla per cui essere rimpianto. Mi ha sempre colpito come i cristiani, pur riconoscendo le nefandezze del regime, lo considerassero il male minore. Per loro, dalla caduta di Saddam è cominciato un tempo duro. Erano un milione e mezzo nel 2003. Oggi due terzi e più se ne sono andati: giudicano impossibile vivere nel caos iracheno. Si concentrano nel Nord. Nel 2010 un'aggressione terroristica uccise 52 cristiani che pregavano nella cattedrale siro-cattolica di Bagdad. Tanti gli assassinii. Ben 125.000 cristiani hanno lasciato la piana di Ninive, loro tradizionale homeland, sotto la pressione di Daesh per rifugiarsi in Kurdistan. Nel quadro della dittatura di Saddam, i cristiani avevano uno spazio (garantito e compresso), tanto che Tareq Aziz, il cui nome cristiano era Mikhail Yuhanna, ricopriva la carica di viceprernier. Eppure anche allora i cristiani fuggivano per la durezza della situazione. L'Iraq è stato, lungo i secoli, una terra in cui hanno abitato tanti gruppi minoritari, che vengono da una storia lontana. La strategia di sopravvivenza di queste realtà, invise all'islam, è stata in genere nascondersi in zone montuose o insubito discriminazioni e repressioni lungo tutta la loro storia. Il loro numero in Iraq sembra oggi intorno al mezzo milione. Un altro gruppo particolare sono i mandei, detti "cristiani di San Giovanni", in realtà una religione di origine gnostica. I mandei non hanno templi ma celebrano i loro riti - specie il battesimo - sulle rive del Tigri, nelle cui prossimità spesso vivono. Dopo molte persecuzioni ne restano circa 6o.000. Il regime ottomano è stato sempre duro con questi gruppi: non li considerava nemmeno "gente del Libro" come i cristiani e gli ebrei, che avevano un posto nel regime islamico come cittadini di seconda categoria. Gli ebrei, una comunità storica e rilevante in Iraq (circa 130.000), sono emigrati da vari decenni e forse resta solo qualche anziano nascosto. I pogrom antisemiti del 1941, stimolati dai nazisti, furono il segnale della fine di una convivenza fino ad allora piuttosto positiva. Tra i vari monumenti ebraici, la tomba del profeta Naum (già meta di pellegrinaggi), non lontana da Mossul, è oggi custodita da un cristiano. Sono resti di un mosaico di religioni, infranto per sempre nel Novecento. Gli Stati dittatoriali e le violenze fanatiche non sopportano le minoranze. Eppure, nonostante tanti dolori, sono sopravvissuti per secoli. Oggi, nel secolo dei diritti umani, sembra impossibile che gruppi minoritari restino in questa parte del mondo. Triste contraddizione del nostro tempo!

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