Guerra, pace: le sfide della Chiesa. Le scelte affrontate dal mondo cattolico nel Novecento dei conflitti, che oggi ritornano
La riflessione di Andrea Riccardi per il convegno sui cento anni dell'Editrice Morcelliana.
Un'anticipazione sul Corriere della Sera del 23 Settembre 2025.
Cent'anni della Morcelliana coincidono con due Giubilei: 1925 e 2025. Gran parte del Novecento è segnato dalle conseguenze della Grande Guerra, dal Secondo conflitto mondiale, dalla ricostruzione e la guerra fredda, dalla caduta del Muro e l'avvio del secolo globale. Non intendo qui fare storia della Morcelliana, quanto provare appena ad accennare alle alternative per la Chiesa nel secolo. Consapevole che le idee veicolate dalla Morcelliana hanno avuto un rilievo nella rimeditazione del cattolicesimo: negli anni dell'attrazione del nazional-cattolicesimo, nella ricostruzione democratica e con Paolo VI, il don Battista che i «bresciani» vollero in Curia dal 1923 e che della Morcelliana fu tra i fondatori e animatori.
Paolo VI parlando alla Morcelliana, a un anno dall'elezione, nel 1964, scusandosi di trattare una vicenda particolare pur rivestito d'un ministero universale (testo acutamente commentato da Stefano Minelli), illustra problemi e intenti dell'operazione. La «cultura cattolica - dice - dopo la crisi modernista e dopo la sconvolgimento spirituale della Prima guerra mondiale, aveva enorme bisogno di rifornimento proprio e di collegamento con la produzione culturale dei paesi più vicini...». Una cultura in crisi, poco all'altezza, isolata. Montini indicava due massi pesanti sul cattolicesimo del primo quarto del Novecento: la guerra come sconvolgimento spirituale (Giorgio Vecchio ne scrive su don Mazzolari), ma anche la sconfitta del cristianesimo. Sconfitta che si avvertiva nel generalizzato rifiuto del messaggio sull'«inutile strage» del 1917, nei radicati conflitti nazionalistici tra cattolici e tra cristiani. Tanto che nel 1920 il Papa scrive la prima enciclica sulla pace: Pacem Dei munus.
Senso di fallimento nel mondo cristiano non cattolico da cui partiva un nuovo ecumenismo, che si chiedeva se la divisione dei cristiani non favorisse l'odio tra le nazioni e l'unità potesse essere, invece, una piattaforma di pace. Tanto che la pace diviene centrale per alcune Chiese protestanti, mentre altre, ortodosse, s'identificano con il destino nazionale (il che è vero anche nello scenario odierno). Il patriarca Athenagoras di Costantinopoli, grande interlocutore di Paolo VI, con cui s'incontrò a Gerusalemme, lanciò la visione: «Chiese sorelle, popoli fratelli». Unità religiosa e pace camminano insieme. La guerra delle nazioni s'intreccia con quella delle religioni, come constatiamo in questi anni. E la guerra novecentesca è sempre più globale, coinvolge e stravolge, in un sistema di connessioni, il mondo intero e, con la minaccia atomica (siamo agli ottant'anni di Hiroshima e Nagasaki), mette a rischio la sopravvivenza dell'umanità, sconvolgendo i quadri politico-morali in cui era stata fino ad allora valutato ogni conflitto. Guerra e pace restano una sfida decisiva per la Chiesa.
Il macigno, di altra natura, è il Novecento, come secolo più secolarizzato della storia, in cui sembra avverarsi la visione di Comte, il superamento dell'età teologica e metafisica in un'età positivista. L'avanzata della modernità avrebbe reso ovunque residuale, ininfluente lo spazio della religione: era quasi un dogma per il pensiero corrente. Nel 1927, Sigmund Freud pubblicò L'Avvenire di un'illusione, in cui riprese le tesi sull'inconsistenza della religione, spiegandola come complesso del padre e prevedendone il superamento come nevrosi infantile.
Il pontificato di Leone XIII, da parte sua, aveva tentato l'uscita da una fase oppositiva e difensiva con quel nuovo clima che, più tardi, von Balthasar, definì: «Abbattere le mura artificiali... per separarsi dal mondo, rendersi libera per assolvere la sua missione...». Questo clima si ritrovava sulla questione sociale con la Rerum Novarum e l'entusiasmo che suscitò, sulla cultura e la scienza con un vasto fervore di studi, sull'impegno internazionale con gli interventi di mediazione vaticani. La successiva crisi modernista e la pesante repressione crearono un clima di diffidenza, che pesava tanto alla fondazione della Morcelliana e rendeva cauti. Nel 1964, Paolo VI parla apertamente di «crisi modernista», come fatto storico. L'Editrice, nel 1966, traducendo Emile Poulat, Storia, dogma e critica della crisi modernista, intendeva storicizzare la vicenda, che quarant`anni prima, invece, era stato sentita come un problema acuto dai fondatori. Mi confidò Stefano Minelli che l`edizione del volume di Poulat, 712 pagine, dotta e di difficile diffusione, fu un consistente peso finanziario per la Morcelliana.
Nel 1962, Pietro Scoppola aveva fatto i conti con il modernismo, pubblicando Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia. La storia - diceva Scoppola - ha una funzione liberatoria e oggettivante. Ed aveva tanto ragione.
Giacomo Martina, che ha dato i primi manuali di Storia della Chiesa con la Morcelliana, così vede la situazione alla nascita dell`editrice: «Nell'Italia del 1925 o si era fascisti (e culturalmente gentiliani) o antifascisti (e crociani), o cattolici e legati a schemi dell`intransigenza, col suo antisemitismo, sia pur mite e disposto a compromessi, con la sua sfiducia per quanto non fosse apertamente legato a un`ispirazione confessionale». Infatti l'ipoteca confessionale atrofizzava l'impatto delle opere cattoliche, anche spirituali.
Allora si consolidava il regime fascista, con la fine dei partiti e Il Manifesto degli intellettuali fascisti..., redatto da Gentile. Questi è il cuore dell'operazione dell'Enciclopedia Italiana che dal 1925 abbraccia gli intellettuali nella logica del «consenso», parallela e funzionale a quella della «forza», altra faccia del regime. Gentile, con l'Enciclopedia, quasi distingue la politica dalla scienza (contrapposto al manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce, che aveva nella politica il riferimento centrale). Alla cultura del regime stava bene un`editoria cattolica confessionale, tradizionale, devozionale.
Ma quale lo spazio della Chiesa in un'Europa dai tanti regimi autoritari? I nazional-cattolicesimi erano la soluzione corrente. Poche le democrazie europee cui i cattolici potevano contribuire (anche dopo la fine dei popolari in Italia). Pio XI, colto, erudito, moderato, senza un senso forte delle libertà democratiche, nel 1925, con il Giubileo, volle una manifestazione di primato della fede. La pace gli pareva fragilissima: «Non si vede come possano ripristinarsi i vincoli di fratellanza tra i popoli..., se i cittadini e gli stessi governi non si compenetrino di quella carità che per lungo tempo purtroppo, specie per causa della guerra, parve sopita e quasi abbandonata». Bisogna rifondare il mondo in Cristo!
Il destino del mondo appartiene a Dio. Il Papa, nell'enciclica Quas primas del 1925, proclama Cristo re dell'universo. Il suo regno «più largamente abbraccia il genere umano, tanto più gli uomini diventano consapevoli di quel vincolo di fratellanza che li unisce». Questo riguarda i battezzati di ogni confessione, «abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo». L'Europa e il mondo: cattolici, altri cristiani e non cristiani. Le missioni al centro del Giubileo: a Roma si tiene l'Esposizione universale missionaria. Nel 1924 si era celebrato il primo concilio plenario cinese e nel 1926 Pio XI ordina a San Pietro i primi sei vescovi cinesi: si voleva una forte Chiesa cinese. Il «regno di Cristo» si misura con travagliate nazioni e autocrazie in Europa, imperi coloniali, la nuova Repubblica di Cina, scossa dai signori della guerra, sfidata dall'Urss. La Morcelliana nasce quando il fascismo diventa regime.
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