Manifestazione a Philadelphia durante il conteggio dei voti - Foto da Facebook |
Mentre si litiga sull'esito del voto, il Paese attende interventi risolutivi in campo sanitario e sociale
Che succede negli Stati Uniti? Il passato ci ha abituato a focose nomination dei candidati dei due partiti e poi a scontri epici tra i contendenti alla Casa Bianca, ma quello che succede oggi è nuovo. Dopo la conta dei voti (e l'individuazione dei "grandi elettori" per ogni Stato) si conosceva subito il vincente.
Il perdente riconosceva la vittoria con fair play, dando il senso di istituzioni democratiche, sicure e forti. E poi, i team del presidente uscente e di quello entrante lavoravano insieme per il passaggio delle consegne del 20 gennaio, giorno del giuramento. Quasi non ci si accorgeva di un sistema elettorale piuttosto arcaico e complicato: può premiare il candidato che ha guadagnato più grandi elettori negli Stati, e magari non il maggior numero di voti complessivi. Tutto però è sempre andato bene, confermando che gli Stati Uniti sono una grande e antica democrazia.
Oggi Trump non accetta la sconfitta e si è preparato a questo. È una grave impasse, tra una serie di ricorsi, il riconteggio delle schede in alcuni Stati e numerose incognite sul futuro. Biden, con cui il Papa e la maggior parte dei capi di Stato esteri si sono congratulati, potrebbe avere qualche difficoltà a entrare alla Casa Bianca, anche se i ricorsi del suo avversario non sembrano mettere in luce veri brogli elettorali.
Ma è ancora presto per dirlo. Pesa però, in questi momenti, una certa incertezza, mentre Biden fa un discorso distensivo, dichiarando di voler essere il presidente di tutti gli americani, anche di quelli che non l'hanno votato. Ma tutto questo non nasconde la spaccatura profonda nel Paese.
C'è un'America divisa come non mai. Del resto Trump non ha mai cercato l'unanimità. È entrato in politica sostenendo che Barack Obama non era cittadino americano di nascita e quindi non avrebbe potuto essere presidente. Ha contestato il sistema e, durante i quattro anni della sua presidenza, pur stando al potere ha condotto parallelamente una campagna "antisistema", rivolgendosi direttamente e disinvoltamente alla popolazione, anche con i suoi tweet con cui annunciava pure decisioni governative o licenziamenti di ministri.
Trump ha saputo rappresentare la gente che non ha fiducia nelle istituzioni, si sente dimenticata e marginalizzata. Per esempio i bianchi, magari della classe operaia, in un Paese dove progressivamente crescono le altre minoranze (si prevede che nel 2040 i bianchi saranno solo il 49%). Quei bianchi che si sentono distanti dalle élite intellettuali. Trump, un "plutocrate populista", scrive il New York Times, non ha fatto gli interessi dei "dimenticati", ma questi si sono identificati in una figura alternativa al sistema di cui è parte il democratico Biden, due volte vicepresidente e da lungo tempo senatore.
Quest'ultimo, al contrario, lanciando il suo messaggio di unità, ha attratto in parte il voto delle minoranze. E lo lancia particolarmente ora, dicendo di voler rappresentare l'America, di puntare sulla lotta al Covid-19 e di avere un programma di largo respiro. L'incognita resta se Trump riconoscerà in qualche modo la sua vittoria oppure, pur costretto ad accettarla, continuerà la campagna contro il nuovo presidente, contestandone la legittimità e coagulando i repubblicani e gli scontenti. Che spazio potrà avere allora Biden come presidente di tutti? Per noi europei, di fronte alle incertezze dell'equilibrio globale, c'è bisogno di un'America stabile e forte, che giochi il suo ruolo nel mondo.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 22/11/2020
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