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Il Perù tra povertà, Covid e golpe bianchi

Un momento delle proteste a Lima - Foto di Johnattan Rupire da Wikimedia Commons 

Quattro capi di Stato in due anni, proteste con morti e feriti, una corruzione endemica e profonda

Il Perù (33 milioni di abitanti) è un Paese latinoamericano dalla grande storia, frutto di meticciato di civiltà e ricco di potenzialità economiche. Ma il Covid-19 l'ha investito brutalmente: quasi un milione di contagiati e 35 mila morti. 

Le diseguaglianze sono forti. La pandemia ha abbattuto il tasso di crescita e le conseguenze sociali non si faranno attendere. Il dramma nel dramma è la politica instabile. La battaglia tra i due presidenti, quello della Repubblica Martin Vizcarra e quello del Parlamento Manuel Merino, si è risolta in un dramma che potrebbe essere definito semiserio, se non fosse per i due morti e le centinaia di feriti causati dalla repressione delle manifestazioni. Vizcarra era stato destituito da un voto di sfiducia trasversale del Parlamento e sostituito con Merino. Molti osservatori e tanti peruviani parlano di un "golpe bianco". La gente indignata si è riversata per strada, non per difendere Vizcarra (molto chiacchierato), ma per opporsi a opache manovre parlamentari. Marino è durato solo cinque giorni, sconfessato dai partiti che lo avevano appena votato. 

Dopo frenetiche consultazioni, è stato eletto Francisco Sagasti, rispettato intellettuale, che resterà sino ad aprile, per le nuove elezioni. È il quarto capo dello Stato in due anni: Vizcarra aveva sostituito nel marzo 2018 il centrista Kuczynski, accusato di malversazioni. Da vari anni fare il presidente in Perù è diventato difficile. Se non si viene obbligati alle dimissioni in corso di mandato, facilmente si viene arrestati alla fine. La funzione si è indebolita con la perdita di immunità e privilegi in nome della lotta anticorruzione, mentre maggiori poteri sono finiti al Parlamento, di cui Merino si è avvalso, ma che subito gli si sono ritorti contro. In quest'avvitamento politico, poco comprensibile per chi non è di quelle parti, non importa lo schieramento: vi partecipano destra e sinistra. 

Va anche detto che la corruzione è forte: circa metà dei parlamentari è sotto inchiesta o in corso di giudizio. La frammentazione (24 partiti) favorisce la crisi della democrazia, divenuta poco popolare tra i peruviani. 

L'oggetto del contendere tra Vizcarra e Merino era il destino dell'ex presidente Alberto Fujimori, di estrema destra, ancora in carcere dove sconta 25 anni per lesa maestà e peculato durante il suo doppio mandato presidenziale, 1990-2000. Vizcarra si era opposto ai tentativi del clan Fujimori, ancora forte in politica, di far liberare l'ex leader. Era anche favorevole a una riforma universitaria che avrebbe ristretto i margini molto remunerativi dei privati in favore del pubblico. 

L'intrigo politico è quotidiano in Perù, sostenuto dalla buona crescita economica degli ultimi anni che ha fatto affluire molte risorse grazie ai commerci del Pacifico con l'Asia, ma distribuendole in maniera diseguale. Il nuovo presidente, Sagasti, è vissuto lontano dal Paese. Ingegnere e universitario, 76 anni, porterà il Paese alle urne. Ma non si tratta di cosa semplice perché la situazione sociale è esplosiva. Le parole dell'arcivescovo di Lima, monsignor Carlos Castillo, offrono un'analisi accorata e giusta della situazione: «C'è un gruppo di persone che si arricchisce con i soldi dell'intera nazione e che ha imparato, sistematicamente, a corrompere la vita del nostro popolo, a corrompere le possibilità di sviluppo, soprattutto lo sviluppo dei poveri».


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 29/11/2020

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