Il fragile equilibrio del Mediterraneo ha bisogno della stabilità di un Paese composito e complicato come la Turchia
di Andrea Riccardi
La Turchia è un Paese complesso. La storia dell'Impero ottomano, con la sua molteplicità, vive ancora nella Repubblica fondata da Kemal Ataturk nel 1923. Il mondo ottomano era abitato da gruppi etnici e religiosi diversi, tra cui i cristiani, ma sotto l'egemonia musulmana (e turca). Poi gran parte dei cristiani scomparve. Ma la pluralità non è finita. Ci sono i curdi nell'Est. Istanbul resta un crocevia di popoli. Religiosamente il Paese è musulmano sunnita, ma gli aleviti, vicini agli sciiti, sono tanti. Le confraternite musulmane, sopravvissute malgrado l'abolizione di Ataturk, sono riemerse. Nei decenni della Repubblica si sono sviluppati poi un folto ceto laico, aperto alla modernità, e una rigogliosa classe intellettuale, molto connessa all'Europa e agli Stati Uniti. Nello stesso periodo, le forze armate hanno rappresentato il severo guardiano della laicità dello Stato, intervenendo varie volte nella scena politica. Recep Tayyip Erdogan, al potere dal 2003, è un fenomeno nuovo nella storia repubblicana anche per il suo riferimento all'islam politico.
Ha rappresentato il mondo anatolico, ma anche Istanbul, di cui è stato sindaco. Ha profondamente cambiato la Turchia, modernizzando quella dell'interno e realizzando una forte crescita economica. In nome dell'avvicinamento all'Europa, ha smantellato la struttura kemalista e militare che controllava Governo e politica. E ora ha le mani libere più di qualunque altro predecessore.
Erdogan ha voluto imprimere una svolta alla Turchia, creando una Repubblica presidenziale con un forte accentramento di poteri nel presidente. Non guarda più all'Europa, anzi, la sfida con l'idea di un referendum sulla pena di morte. Ha un forte sostegno internazionale tanto che dopo la vittoria al referendum sui poteri presidenziali (nonostante i sospetti degli osservatori Osce sulla correttezza del voto), sono arrivati gli auguri di Putin e Trump.
L'Unione europea resta invece perplessa, ma Erdogan va avanti. Tra l'altro controlla milioni di rifugiati siriani e può riaprire i flussi verso l'Europa. I risultati del referendum, al di là dei dubbi, sono la radiografia di un Paese spaccato a metà in cui Erdogan ha avuto una vittoria di stretta misura. Molto alta l'affluenza ai seggi, rivelatrice dello scontro che divide i turchi. Ma Istanbul, Ankara, Smirne, le regioni curde e quelle mediterranee non hanno dato la maggioranza al leader. Solo metà del popolo turco si riconosce in lui. Sarebbe opportuno comporre lo scontro. Non sembra però la scelta di Erdogan. Una politica più articolata eviterebbe spaccature e radicalizzazioni. La Turchia confina con Paesi in guerra o in grave difficoltà. Il fragile equilibrio mediterraneo ha bisogno della sua stabilità.
di Andrea Riccardi
La Turchia è un Paese complesso. La storia dell'Impero ottomano, con la sua molteplicità, vive ancora nella Repubblica fondata da Kemal Ataturk nel 1923. Il mondo ottomano era abitato da gruppi etnici e religiosi diversi, tra cui i cristiani, ma sotto l'egemonia musulmana (e turca). Poi gran parte dei cristiani scomparve. Ma la pluralità non è finita. Ci sono i curdi nell'Est. Istanbul resta un crocevia di popoli. Religiosamente il Paese è musulmano sunnita, ma gli aleviti, vicini agli sciiti, sono tanti. Le confraternite musulmane, sopravvissute malgrado l'abolizione di Ataturk, sono riemerse. Nei decenni della Repubblica si sono sviluppati poi un folto ceto laico, aperto alla modernità, e una rigogliosa classe intellettuale, molto connessa all'Europa e agli Stati Uniti. Nello stesso periodo, le forze armate hanno rappresentato il severo guardiano della laicità dello Stato, intervenendo varie volte nella scena politica. Recep Tayyip Erdogan, al potere dal 2003, è un fenomeno nuovo nella storia repubblicana anche per il suo riferimento all'islam politico.
Ha rappresentato il mondo anatolico, ma anche Istanbul, di cui è stato sindaco. Ha profondamente cambiato la Turchia, modernizzando quella dell'interno e realizzando una forte crescita economica. In nome dell'avvicinamento all'Europa, ha smantellato la struttura kemalista e militare che controllava Governo e politica. E ora ha le mani libere più di qualunque altro predecessore.
Erdogan ha voluto imprimere una svolta alla Turchia, creando una Repubblica presidenziale con un forte accentramento di poteri nel presidente. Non guarda più all'Europa, anzi, la sfida con l'idea di un referendum sulla pena di morte. Ha un forte sostegno internazionale tanto che dopo la vittoria al referendum sui poteri presidenziali (nonostante i sospetti degli osservatori Osce sulla correttezza del voto), sono arrivati gli auguri di Putin e Trump.
L'Unione europea resta invece perplessa, ma Erdogan va avanti. Tra l'altro controlla milioni di rifugiati siriani e può riaprire i flussi verso l'Europa. I risultati del referendum, al di là dei dubbi, sono la radiografia di un Paese spaccato a metà in cui Erdogan ha avuto una vittoria di stretta misura. Molto alta l'affluenza ai seggi, rivelatrice dello scontro che divide i turchi. Ma Istanbul, Ankara, Smirne, le regioni curde e quelle mediterranee non hanno dato la maggioranza al leader. Solo metà del popolo turco si riconosce in lui. Sarebbe opportuno comporre lo scontro. Non sembra però la scelta di Erdogan. Una politica più articolata eviterebbe spaccature e radicalizzazioni. La Turchia confina con Paesi in guerra o in grave difficoltà. Il fragile equilibrio mediterraneo ha bisogno della sua stabilità.
Commenti
Posta un commento