Un'attenta analisi della Chiesa Copta in Egitto, dopo i terribili attentati a Tanta e Alessandria.
E’ incredibile e vile quanto è avvenuto in Egitto: donne, uomini, bambini in preghiera, indifesi in chiesa, uccisi dai terroristi. Eppure è successo nella Domenica delle Palme ad Alessandria e a Tanta. È stata opera probabilmente dell’Isis, che ha attaccato proprio in un giorno in cui i cristiani copti celebrano la festa con solennità e partecipazione. Per una coincidenza di calendari, quest’anno la Domenica delle Palme e la Pasqua cadono nella stessa settimana per tutte le Chiese. In un certo senso, l’Isis ha colpito tutti i cristiani, attaccando i più vicini e deboli.
Dobbiamo riflettere sul messaggio di questa Domenica di sangue. Oggi, in alcune parti del mondo, i discepoli di Gesù soffrono l’odio e la violenza, come lui stesso aveva preannunziato. Che vuol dire per i cristiani occidentali? I persecutori, cioè i terroristi, hanno parlato di "crociati copti". Mai i cristiani copti hanno fatto crociate o guerre. Al contrario, dopo l’invasione araba in Egitto hanno subìto molte umiliazioni che li hanno confinati a cittadini di seconda categoria. La sofferenza e l’umiliazione hanno segnato la loro storia. E il martirio: i copti cominciano a contare gli anni proprio dal martirio dei cristiani sotto Domiziano. In una storia dolorosa, hanno mostrato però un paziente e tenace attaccamento alla fede. Oggi sono un "popolo" consapevole della propria fede e del proprio ruolo in Egitto. Gli attentati non toccano solo alcuni cristiani lontani da noi. Lo fa capire bene papa Francesco che sta per andare in visita alla Chiesa in Egitto, mostrando come sia parte di una più larga comunione.
E il Papa copto, Tawadros, ha sentito la necessità di venire a Roma e incontrare Francesco appena eletto: gli ha confidato le sue pene. Da quel momento i rapporti tra i due Papi sono strettissimi. «Nel sangue dei martiri siamo già uniti», diceva Giovanni Paolo II, e Francesco lo crede profondamente. Ci vuole solidarietà. Ma anche s’impongono passi decisi verso l’unità. C’è soprattutto da imparare dai cristiani egiziani un modo di vita nella società, mite, fedele e non violento: i copti chiedono al Governo soltanto protezione e lotta al terrorismo. Colpisce come, nonostante i rischi, non rinuncino a frequentare in tanti le loro chiese e a vivere con intensità la passione e la risurrezione del Signore, facendo della liturgia il cuore dell’esistenza. È una grande testimonianza: rischiare la vita per la preghiera della Chiesa. Bibbia, liturgia, fede di popolo alimentano la vita dei copti, facendone una testimonianza per un cristianesimo occidentale talvolta distratto, vittimista o aggressivo.
E’ incredibile e vile quanto è avvenuto in Egitto: donne, uomini, bambini in preghiera, indifesi in chiesa, uccisi dai terroristi. Eppure è successo nella Domenica delle Palme ad Alessandria e a Tanta. È stata opera probabilmente dell’Isis, che ha attaccato proprio in un giorno in cui i cristiani copti celebrano la festa con solennità e partecipazione. Per una coincidenza di calendari, quest’anno la Domenica delle Palme e la Pasqua cadono nella stessa settimana per tutte le Chiese. In un certo senso, l’Isis ha colpito tutti i cristiani, attaccando i più vicini e deboli.
Dobbiamo riflettere sul messaggio di questa Domenica di sangue. Oggi, in alcune parti del mondo, i discepoli di Gesù soffrono l’odio e la violenza, come lui stesso aveva preannunziato. Che vuol dire per i cristiani occidentali? I persecutori, cioè i terroristi, hanno parlato di "crociati copti". Mai i cristiani copti hanno fatto crociate o guerre. Al contrario, dopo l’invasione araba in Egitto hanno subìto molte umiliazioni che li hanno confinati a cittadini di seconda categoria. La sofferenza e l’umiliazione hanno segnato la loro storia. E il martirio: i copti cominciano a contare gli anni proprio dal martirio dei cristiani sotto Domiziano. In una storia dolorosa, hanno mostrato però un paziente e tenace attaccamento alla fede. Oggi sono un "popolo" consapevole della propria fede e del proprio ruolo in Egitto. Gli attentati non toccano solo alcuni cristiani lontani da noi. Lo fa capire bene papa Francesco che sta per andare in visita alla Chiesa in Egitto, mostrando come sia parte di una più larga comunione.
E il Papa copto, Tawadros, ha sentito la necessità di venire a Roma e incontrare Francesco appena eletto: gli ha confidato le sue pene. Da quel momento i rapporti tra i due Papi sono strettissimi. «Nel sangue dei martiri siamo già uniti», diceva Giovanni Paolo II, e Francesco lo crede profondamente. Ci vuole solidarietà. Ma anche s’impongono passi decisi verso l’unità. C’è soprattutto da imparare dai cristiani egiziani un modo di vita nella società, mite, fedele e non violento: i copti chiedono al Governo soltanto protezione e lotta al terrorismo. Colpisce come, nonostante i rischi, non rinuncino a frequentare in tanti le loro chiese e a vivere con intensità la passione e la risurrezione del Signore, facendo della liturgia il cuore dell’esistenza. È una grande testimonianza: rischiare la vita per la preghiera della Chiesa. Bibbia, liturgia, fede di popolo alimentano la vita dei copti, facendone una testimonianza per un cristianesimo occidentale talvolta distratto, vittimista o aggressivo.
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