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Nell'era postglobale e antiglobale siamo consapevoli di dover difendere la democrazia?

Difendere la democrazia e farla funzionare non è compito di noi europei? Andrea Riccardi si pone questa domanda nel contributo su "Sette" il magazine del Corriere della Sera di oggi. 

Dopo i1 1989, c'è stata una grande euforia: si credeva che il mondo sarebbe divenuto presto tutto liberaldemocratico e aperto al libero mercato. Francis Fukuyama, ne1 1992, parlò della fine della storia a seguito della caduta del Muro. Tante storie dittatoriali sembravano alla fine. In Africa era l'ora delle transizioni dai regimi autoritari alla democrazia. L'America Latina voltava le spalle a vari decenni di dittature per imboccare la via democratica. Lo stesso avveniva in vari Paesi asiatici. Insomma, con qualche eccezione, il mondo si convertiva alla democrazia. E le eccezioni non erano solo gli "Stati canaglia", ma anche nel mondo arabo, saldamente nelle mani dei regimi autoritari. Tuttavia la storia in genere aveva preso un chiaro orientamento democratico. L'Unione Africana si è impegnata a far rispettare la volontà degli elettori e a isolare i regimi nati da colpi di Stato, come s'è visto recentemente in Gambia. L'Est europeo, dalla grande Russia, ha fatto la scelta per la democrazia. Un vero cambiamento sotto le latitudini più diverse. Le primavere arabe, tra il 2010 e il 2011, sembravano l'ultimo approdo dell'onda democratica, scaturita da1 1989. In realtà, con l'importante eccezione della Tunisia, ne sono nati conflitti e rinnovati regimi forti. Oggi, a ben guardare la carta geografica, la democrazia non è scontata.
Agnes Heller, autorevole studiosa ungherese, anche riflettendo sul suo Paese, commenta amaramente il periodo dopo la caduta del Muro: «Era un'illusione che la democrazia avanzasse. Cambiano i modi in cui il potere si manifesta, ma la sostanza tende a restare uguale». Qualcosa è cambiato nelle società degli ultimi anni. Sono finite le appartenenze ideologiche e i partiti improntati alle ideologie. L'opinione pubblica di tanti Stati si è fatta emotiva e quindi fluttuante. D'altra parte, la globalizzazione non ha creato un mondo cosmopolita, ma il contrario! Un universo senza frontiere sembra insicuro. Ci sono state tante reazioni alla globalizzazione, a cominciare dai radicalismi musulmani per finire con i nazionalismi e i cosiddetti populismi. Il mondo globale è quello delle grandi migrazioni. Di fronte alle ondate di migranti, i popoli riscoprono la loro identità nazionale, animati da quella che Mircea Eliade (grande studioso delle religioni) chiamava la "paura della storia". Tracciare nuovi confini, magari costruire muri, può calmare questa paura. E poi, per vincerla, i popoli si affidano a personaggi messianici. Così le democrazie "pure" si restringono: non sono considerate l'unica forma politica praticabile. La Heller parla della nascita di regimi bonapartisti. Eduardo Galeano aveva felicemente coniato il termine di "democratura", un misto di autoritarismo e democrazia. Infatti, con la rete di connessioni globali, è impossibile creare regimi totalmente chiusi. La grande domanda oggi è se le democrazie non siano di nuovo tornate a essere una minoranza nel mondo. Certo l'Unione Europea s'identifica saldamente con le democrazie. Non così la riva Sud del Mediterraneo, con l'eccezione dello Stato d'Israele, della Tunisia e del Libano.
Il presidente turco Erdogan rafforza i suoi poteri in modo radicale, con un voto favorevole del Parlamento e li sottoporrà a referendum. Forti sono anche quelli del presidente russo. Tuttavia - va ricordato - Putin gode dell'80% dei consensi nel suo Paese. L'opinione pubblica russa s'identifica con l'affermazione della Russia nel mondo globale. Se si fa il giro della terra, si vedono pure governi o regimi forti che nemmeno hanno consenso popolare. Il mondo globale è difficile e genera reazioni varie: oggi siamo in una stagione postglobale o antiglobale. Il vero problema, per noi europei, è se siamo consapevoli di dover difendere un modello democratico e di farlo funzionare. La partita è tutta aperta, non solo sugli scenari internazionali, ma di fronte a opinioni pubbliche nazionali che vivono pulsioni profonde verso destini separati.

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