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Il Natale ricorda l'avvento di Dio nella debolezza. Cancellarlo nega la storia dei cristiani e dell'intera Europa

 

L'immagine della Natività di Giotto proiettata sulla facciata della Basilica superiore di Assisi

Questa festa è un momento importante della nostra cultura: l'ideologia della neutralità è anacronistica

L'Unione europea cancella il Natale? Nella "Guida della commissione dell`Unione per una comunicazione inclusiva" sono apparse, giorni fa, alcune proposte che stupiscono. Tra di esse, colpisce l'invito a non usare il nome del Natale, ma al suo posto "festività", e a non utilizzare nomi cristiani come Maria e Giovanni, ma neutri come Malika e Giulio. Lo scopo dichiarato delle misure è evitare manifestazioni di intolleranza, dando per scontato che in Europa tutti siano cristiani. E nemmeno tutti i cristiani celebrano il Natale nella stessa data. 

Si auspica un linguaggio neutrale per non discriminare le altre religioni o i non credenti. La "guida" è stata ritirata, anche per le proteste di tanti, tra cui vari italiani. Ma la questione resta. È un problema di mentalità che, non da oggi, si manifesta nelle istituzioni europee e in alcuni ambienti politici. Una mentalità datata. Non è un tema da affrontare nella logica della difesa dei valori cristiani contro la laicità. 

Guardiamo la realtà: la festa di Natale ha fatto un lungo viaggio nella storia, tanto da essere sentita al di là del cristianesimo. Spesso sono rimasto sorpreso di vederlo festeggiato in Paesi non cristiani e da non cristiani. Questo processo ha suscitato preoccupazioni in chi vedeva dimenticato il peculiare messaggio cristiano. Il cardinale Biffi diceva, anni fa, che si festeggia «dimenticando il Festeggiato: si pensi a cosa è ridotto oggi il Natale festaiolo e consumista». 

Il Natale non è proprio una memoria invasiva o discriminante. È invece un momento importante e tradizionale della nostra storia e cultura. Non si può cancellarlo in nome della neutralità. Perché un Paese significa storia e cultura particolari. E il Natale è divenuto una festa degli europei. La neutralità nega la storia non solo dei cristiani, ma dell'intera società. 

Per le feste cristiane, musulmani o ebrei vanno spesso a fare gli auguri ad amici cristiani. È divenuta una tradizione in taluni ambienti. Il gesto mostra il vincolo del vivere insieme liberamente e fraternamente nella diversità. 

Avere convinzioni o una fede non soverchia gli altri, anzi quasi sempre è la premessa per un dialogo costruttivo. La Chiesa non ha intenzione di confessionalizzare i Paesi europei, ma è una comunità per cui il Natale è una festa che la interpella profondamente con il suo messaggio evangelico e a cui si prepara nell'Avvento. 

L'ideologia della neutralità (spiegabile come richiesta di libertà in situazioni di oppressione della maggioranza, quali non sono le nostre) ha davvero il sapore del passato. Donne e uomini spaesati, come in quest'epoca di transizione e nel mondo globale, hanno invece bisogno di convinzioni da vivere nel dialogo con gli altri e nel rispetto. Il presidente francese Macron ha riconosciuto, nel suo discorso ai Bernardins del 2018, come i cattolici francesi hanno servito il loro Paese e sono morti per esso, non solo per ideali umanisti o laici, ma «portati dalla loro fede in Dio e dalla loro pratica religiosa». La fede è realtà della storia comune. 

Insomma, mi pare un tempo in cui non cancellare la memoria, ma in cui scrivere nuove pagine di vita e di storia. Per i cristiani il Natale ricorda l'avvento di Dio nella sua debolezza. Tutt'altro che una manifestazione di forza o di arroganza.


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 12/12/2021

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