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La scomparsa del leader Fidel e il giudizio della storia


Andrea Riccardi, grazie al suo ruolo nella Comunità di Sant'Egidio, di cui è fondatore, ha avuto l'occasione di incontrare due volte Fidel Castro, parlandogli di questioni umanitarie.
In questo editoriale scritto per Famiglia Cristiana, ne esamina la figura.

Fidel Castro è morto. Infuria la polemica sul leader defunto. Obama, con saggezza, ha dichiarato: «La storia giudicherà l'enorme impatto di questa singolare figura sulla gente e sul mondo attorno a lui». Sì, la storia giudicherà le sue realizzazioni e il mito creatosi attorno alla sua figura. La dichiarazione americana mi ha ricordato una frase del giovane Fidel, nel processo del 1953 per il fallito attacco contro Batista: «Condannatemi. Non importa. La storia mi assolverà».
Aveva 27 anni e già pensava di entrare nella storia. Poteva essere un episodio banale. Fu un inizio. Il "comandante" ebbe la capacità di creare un gruppo di combattenti e rientrare nell'isola. Due di loro sarebbero divenuti famosi: l'argentino Ernesto "Che" Guevara, un`icona della rivoluzione in Sudamerica e nel mondo, e il fratello Raúl, attuale leader di Cuba.
Nel 1959, Fidel era già al potere, dove è rimasto per quasi mezzo secolo, fino alle dimissioni per età avanzata. Il comunismo cubano non è nato dalle truppe sovietiche (come nell'Est europeo), anche se - dal 1960 - si è appoggiato all'Urss, per la dura contrapposizione con gli Stati Uniti. Per gli Stati Uniti era intollerabile uno Stato comunista a poche decine di chilometri. Da qui nacque l'appoggio americano al tentativo fallito d'invasione degli esuli cubani. Nel 1962, a causa della progettata installazione di missili sovietici nell'isola, si giunse a una delle più gravi crisi della Guerra fredda, risolta anche grazie a un intervento di Giovanni XXIII. 
Dal 1962 cominciò l'embargo statunitense, durato fino al 2014. Cuba fu isolata, intanto molti cubani lasciavano l'isola. Oggi, solo in Florida, ci sono 1.400.000 cittadini di origine cubana. Non si può dire, però, che all'interno non ci sia stato anche consenso attorno alla figura di Fidel.
L'ho conosciuto personalmente prima della visita di Giovanni Paolo II nell'isola. Lo trovai molto interessato alla figura del Papa e alla realtà della Chiesa. Aveva rispetto per la Chiesa, nonostante il suo ruolo nell'89, anche nella radicale diversità delle prospettive. Sentiva che, in un mondo tutto capitalista, rappresentava un'alternativa. Nel 1998, il Papa, in visita a Cuba, lanciò uno slogan espressivo di una visione in cui si ritrova papa Francesco ancora oggi: «Cuba si apra al mondo e il mondo a Cuba!». Castro, educato nel cattolicesimo da giovane, ha incontrato i tre Papi in visita all'isola.
Ho rivisto una seconda volta Fidel e in quell'occasione l'ho intrattenuto su una questione umanitaria, trovandolo disponibile. Soprattutto notai come quest'uomo, che si spostava poco dall'isola, seguisse le questioni internazionali con grande attenzione. È stato un personaggio del Novecento: amato ed esecrato. La storia giudicherà.                           

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