Andrea Riccardi / Religioni e civiltà
 
 
Tamara, cristiana ortodossa, ha visto il figlio fucilato  
ingiustamente. Ha ottenuto l'abolizione nel suo  Uzbekistan e altrove: 
le resta, in Europa, la Bielorussia  
Ti chiedo perdono se il destino non ci permetterà di incontrarci. 
Ricorda che io non sono colpevole, non  ho ucciso nessuno. Preferisco 
morire, non permetterò a nessuno di farti del male. Ti amo molto. Sei 
l'unica persona cara della mia vita. Ti prego, ricordati di me...»: 
questa è la lettera che Tamara Chikunova ricevette nel 2000 dal figlio, 
dopo che era stato fucilato segretamente in Uzbekistan. Tamara è russa 
di etnia e cittadinanza, abitante nell'Uzbekistan, indipendente dopo la 
fine dell'Urss nel 1991. La sua vita, fino al 2000, era stata 
tranquilla, nonostante le difficoltà della minoranza russa nel nuovo 
assetto politico. Tuttavia, nel 1999, il 17 aprile, suo figlio, 
Dimitrij, viene arrestato. Comincia un tunnel. Per sei mesi non sa più 
niente del figlio. Lei stessa è arrestata e picchiata. Quando rivede il 
figlio, è sfigurato dalle torture. L'11 novembre 1999, dopo pochi mesi 
di processo, Dimitrij è condannato a morte e viene giustiziato il 10 
luglio 2000. Sottoposto a torture e reo confesso (aveva ceduto, 
ascoltando la registrazione delle urla della madre picchiata dai 
poliziotti), viene invece riabilitato nel 2005 e il processo dichiarato 
infondato.
Dopo l'esecuzione segreta di 
Dimitrij (che non aveva nemmeno potuto salutare per l'ultima volta), 
Tamara smarrisce ogni voglia di vivere: «Il dolore della perdita, la 
sete di vendetta», racconta, «distruggono dall'interno. È un terribile 
fardello e sentivo che stavo per diventare pazza». Gli resta qualche 
ricordo, come il racconto del figlio nel braccio della morte, impegnato 
ad aiutare gli altri condannati e a consolarli. Questo la spinge a 
prendere una decisione: dedicare la vita ai condannati a morte e 
all'abolizione della pena capitale. Perdona gli assassini del figlio 
(tali li considera): «Quando vivevo nella vendetta, vivevo nel passato e
 nel lamento e non  vedevo il presente e la speranza del futuro». Dal 
2000, comincia con i condannati in Uzbekistan, nonostante le forti 
minacce e  le pressioni poliziesche. Fonda "Madri contro la pena di 
morte e la tortura", organizzazione attiva nei paesi ex sovietici:  non 
sarebbe più dovuto succedere quello che era toccato a suo figlio, un 
innocente di ventotto anni strappato dalla vita.  La Francia, per 
proteggerla, l'ha insignita della Legion d'onore. 
Ha
 avuto vari successi: la commutazione di 23 condanne capitali, l'esame 
di circa duecento appelli per violazione dei diritti umani. Nel 2008, in
 Uzbekistan è stata cancellata la pena di morte.  Il suo contributo è 
stato decisivo: ha ottenuto pure la revisione di no precedenti condanne 
capitali e la liberazione di 68 detenuti. Anche il Kazakistan abolisce 
la pena di morte, mentre il Tagikistan adotta la moratoria delle 
esecuzioni. Tamara ha lavorato anche per l'abolizione in Mongolia, 
avvenuta nel 2012. Donna fragile di 67 anni, ma tenace, è stata capace 
di affrontare a viso aperto istituzioni repressive e molte 
intimidazioni. Ricorda sempre la motivazione della condanna del figlio 
(e di tanti): «...non ha alcun valore per la società e non può essere 
riabilitato. Pertanto, per i reati commessi, viene condannato a morte 
per fucilazione». Cristiana ortodossa, è convinta che ogni vita invece 
abbia valore.  Afferma con convinzione, mentre ancora lotta per 
l'abolizione della pena capitale in Bielorussia  (l'ultimo Paese europeo
 a mantenerla): «La pena di morte è la catastrofe spirituale dell'uomo».

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