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Quando la religione riempie il vuoto ideologico della politica


Fedeli in un tempio a Bangalore

Pareva sempre più marginale e invece torna alla ribalta. Ma è spesso usata strumentalmente

«Più modernità, meno religione»: è un assioma cui molti hanno creduto a partire dalla secolarizzazione europea. La religione si sarebbe ridotta quasi a una nicchia di pochi credenti in una società secolarizzata. Questo modello - si pensava - si sarebbe esteso al mondo con la diffusione della modernità. Così non è stato. Un esempio? A Bangalore, centro dell'informatica in India, il grande sviluppo tecnologico si sposa con la devozione alle divinità induiste. 

Le religioni non scompaiono, ma si ripresentano come attori del nostro tempo. Il nostro mondo sta conoscendo l'uso politico di tutte le religioni. Del resto, cadute le ideologie - si pensi alla forza del marxismo per motivare il movimento socialista e comunista del Novecento -, le religioni restano un bagaglio di idee, di senso, di ragioni, che possono essere utili per una politica che voglia attrarre e affrontare la sfida del vuoto ideale del nostro tempo. 

Il caso indiano è evidente. Probabilmente il primo ministro, Narendra Modi, sarà confermato dopo le elezioni che si stanno svolgendo nel continente indiano. Il suo partito, il Bharatiya Janata Party (Bjp), è fondato sul principio nazional-religioso induista, l'Hindutva. L'ideatore di questa ideologia, Savarkar, non solo faceva riferimento alla tradizione induista, ma seguiva con interesse fascismo e nazismo, mutuandone metodi e idee. Oggi il partito di Modi, in nome della religione indù, non solo si oppone all'India "laica" di Gandhi e di Nehru, ma pratica anche una forte contrapposizione ai musulmani indiani, in nome dell'autenticità induista del Paese. 

L'uso politico della religione riguarda quasi tutti i mondi religiosi. Basterebbe citare il fondamentalismo islamico o i partiti religiosi in Israele. Per venire al cristianesimo, ci si chiede: è ancora possibile l'uso politico della fede? I regimi cattolici, come quello spagnolo di Franco, «caudillo por la gracia de Dios», sono scomparsi. Eppure, dopo 1'89, c'è stata una rinascita di movimenti e sistemi che utilizzano il cristianesimo come benedizione o giustificazione ideologica. Si pensi a quello ungherese di Orbán che, rifacendosi al cristianesimo, si mostra difensore dei "valori tradizionali", come la famiglia e altro. 

La difesa dei "valori tradizionali" è al cuore del regime di Putin e della simbiosi tra potere civile e ortodossia russa. Peraltro i valori della tradizione sono il terreno di incontro tra le destre e la Chiesa o il mondo cattolico, spesso in difficoltà con la sinistra per la sua politica sulla famiglia e sulla vita. Anche se le destre si distanziano dalla Chiesa sull'accoglienza ai migranti, su cui il Papa insiste molto.

D'altra parte ci si chiede per quanto i movimenti di destra diano garanzie di tenere le posizioni tradizionali. In Francia, Marine Le Pen, a capo del partito di destra Rassemblement National, ha votato a favore dell'aborto nella Costituzione. Una scelta rivelatrice non solo della laicità di Le Pen, ma dell'interesse a non alienarsi l'elettorato favorevole all'aborto. I cattolici pesano meno di ieri da un punto di vista elettorale. L'esibizione di simboli religiosi in comizi politici tuttavia è un'espressione, seppur contingente, dell'uso della religione. La realtà è che oggi i cattolici - penso all'Italia - faticano a trovare posizioni politiche in sintonia con il loro modo di pensare. 


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 19/5/2024




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