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Se a trionfare è il "cattivismo" degli individui e degli Stati: il caso di Kenneth Smith, la pena di morte, l'uso delle armi. E' in corso una riabilitazione della violenza




La pena di morte, soprattutto nei Paesi democratici, resta contraddittoria e conturbante. 
Non meraviglia che sia praticata nelle dittature, dove si esercita il controllo con l'uso della violenza e con l'intimidazione. Ma in democrazia, lo Stato ha chiari limiti, prima di tutto il rispetto della vita. Colpisce sempre che sia praticata in alcuni Stati nordamericani. 

In Alabama, è stata eseguita la pena di morte su un uomo di 58 anni per un omicidio del 1988: Kenneth Eugene Smith aspettava l'esecuzione da 34 anni nel braccio della morte. Il reato fu compiuto dal condannato all'età di 24 anni. Ma era un uomo diverso: che senso ha avuto ucciderlo, se non la vendetta di Stato? 

Ma c'è di più! La pena di morte è stata effettuata soffocandolo con l'azoto. È la prima volta che si usa questo sistema, sulla cui opportunità si discute nei confronti degli animali. Non si sa bene quali siano le conseguenze e quali i dolori inflitti. È un atto crudele nei confronti di un uomo che ha già scontato più di 30 anni di prigione per l'assassinio di una donna (che gli era stato commissionato a pagamento). Un crimine orrendo, ma una punizione incredibile! C'è una nota più dolorosa: poco più di un anno fa Kenneth Smith era stato quattro ore nelle mani del boia, che cercava inutilmente la vena nel braccio per iniettargli l`iniezione letale. Possiamo immaginarci i patimenti e l'angoscia del condannato in questa situazione di prolungata crudeltà. Nel Medioevo - ha notato Mario Marazziti - sarebbe stato graziato dopo il fallimento dell`esecuzione. Invece c'è stato un accanimento omicida (non terapeutico).

Un assassino, riconosciuto tale, è divenuto una vittima del sistema giudiziario, anzi, dello Stato. Che non ha compiuto giustizia, ma esibito la forza oltre misura. 

C'è la tendenza a esibire la violenza e a legittimarla. Un atteggiamento che chiamerei "cattivismo". Si è tanto parlato di "buonismo" criticandolo come indulgenza eccessiva. 

Invece ci troviamo di fronte a una violenza crudele verso un vinto dalla vita. Non solo negli Stati Uniti c'è una tendenza "cattivista" a riabilitare la violenza. È anche il caso del possesso delle armi da parte dei cittadini come esaltazione dell'autodifesa. Possedere armi viene considerato l'espressione del diritto naturale all'autodifesa. Ma armare molti per diminuire la violenza è un esperimento fallito. L'arma è un motivo in più per essere violenti, talvolta in maniera omicida. L'idea di una popolazione armata è lontana dalla cultura europea. 

Esistono controlli sull'uso delle armi dei privati, però si sta riaffacciando l'idea del valore delle armi e dell'autodifesa, in opposizione a un buonismo che lascerebbe disarmati e concederebbe troppo ai criminali. Si pensi alle polemiche che si accendono nei casi di furto a negozi e nelle case. 

Ha stupito una proposta di legge di un senatore di Fratelli d'Italia (poi ritirata) per cui i sedicenni sarebbero ammessi alla caccia, quindi all'uso delle armi. Il problema è la cultura che valorizza l'uso delle armi. 

Che legame c'è con la pena di morte? È il "cattivismo" che esalta la violenza, personale o di Stato. Ma lo Stato deve proteggere il cittadino, la cui vita è difesa dalle forze dell'ordine anche attraverso il monopolio della violenza. La giustizia garantisce i cittadini, ma pure essa ha dei limiti, come il rispetto della vita del colpevole.


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 4/2/2024



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