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Contro l'intolleranza seguiamo l'esempio di San Giovanni Paolo II

In Medio Oriente serve osare la pace dialogando con i "nemici"




Bisogna parlare con Turchia, Qatar e Iran e coinvolgere le superpotenze Russia e Cina

Davanti all'orrore del terrorismo di Hamas contro Israele e della ripresa del conflitto israelo-palestinese è lecito chiedersi: che fare? Quasi tutte le strade sembrano sbarrate. 

La soluzione dei due Stati - immaginata a Oslo e oggi ripresa da molti - pare difficile da realizzarsi in Cisgiordania. Qui l'Autorità palestinese ha perso potere e autorevolezza. Soprattutto, il territorio è diviso a macchie di leopardo tra le due comunità, con un grosso afflusso di coloni. La politica dei governi israeliani di questi anni ha cercato di rendere impossibile tale soluzione, mentre l'Autorità palestinese si è accontentata di un controllo sulla propria gente, in genere autoritario e corrotto. D'altronde la guerra non risolve nulla: non si può vivere come se l'altra parte fosse destinata a sparire. È questo che pensano gli estremisti dei due campi. Ma è un'utopia terribile. 

Dopo 75 anni di guerra, si deve constatare l'inutilità di ulteriori scontri, che producono solo odio e sofferenze. Dal canto suo, la soluzione proposta dai sauditi, gli accordi di Abramo, sembrava una possibilità, ma si è rivelata incompleta: non si può scommettere solo sul denaro e sulla prosperità futura. Le ferite sono troppe e profonde. 

Ora serve qualcosa di più: dare parole ai sentimenti di ingiustizia e di paura dell'una e dell'altra parte, come premessa per un nuovo incontro. «Paura e odio» - spiega Bauman - «sono gemelli siamesi che si nutrono a vicenda... vivono e muoiono assieme». 

L'aiuto finanziario serve molto, ma non è la medicina per tanto dolore. Nella globalizzazione abbiamo concesso troppa fiducia all`aspetto materiale della vita, credendo che risolva quasi tutto. Serve una cultura diversa: l'audacia della pace. 

Le grandi potenze devono trovare il coraggio per immaginare la pace, guardando oltre gli ostacoli del presente. Gli Stati Uniti hanno dimostrato di non volere che la guerra si allarghi, reagendo rapidamente per stabilizzare un quadro che rischiava di scivolare pericolosamente verso l'apertura di altri fronti. Ora possono riprendere con forza la soluzione di Oslo, adattandola ai tempi. 

Per farlo hanno bisogno di parlare con chi ha in mano - almeno in parte - le chiavi dell'incontro con Hamas e i palestinesi: Turchia, Qatar e anche Iran. È difficile, forse impossibile. Ma che fare altrimenti? È necessario avere associati garanti, che tengano lo scenario sotto controllo nei prossimi anni: il percorso non sarà facile e sarà lungo. 

Significa parlare di Medio Oriente con Russia e Cina. L'abitudine invalsa, in questi ultimi anni, è invece non parlare con chi si considera ostile o concorrente: si parla solo con i propri simili, i cosiddetti "likeminded". 

Il vero dialogo, utile e produttivo, è con il diverso, finanche il nemico. Questa è l'audacia oggi necessaria per trovare un consenso sulla pace e la stabilità. Altrimenti ci sarà un futuro di guerre a ripetizione. La via della pace è complessa e sarà arduo giungere ai compromessi necessari: per questo devono essere molti gli attori di tale percorso. Il metodo dell'esclusione non paga. Alcune rinunce certamente devono essere fatte. Anche questo è audacia: la pace è un bene troppo grande per farlo dipendere solo dai propri interessi. E poi un mondo così fratturato, con posizioni rigidamente contrapposte, con poco dialogo, non farà che generare guerre.


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 5/11/2023





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