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La missione di pace di Zuppi: non rassegniamoci alla guerra

Il card. Zuppi a Bucha il 5 Giugno

Il cardinale ha mostrato la vicinanza del Papa agli ucraini e ribadito la necessità della via diplomatica

Le parole e i gesti della Chiesa non sono appiattiti sul linguaggio volatile dei dibattiti, come avviene anche sulla guerra in Ucraina. La missione del cardinale Zuppi a Kyiv s'inserisce nel linguaggio di papa Francesco, tenuto fin dall'invasione russa dell'Ucraina, quando non ha parlato di "operazione speciale", ma di guerra. E alla guerra ha contrapposto insistentemente la prospettiva della pace, come unico e necessario sbocco. Non l'ha fatto per un conciliatorismo ignaro dei dolori ucraini, incapace di distinguere tra aggredito e aggressore, per un buonismo che indietreggia di fronte all'ora delle armi e della battaglia. 

Il Papa sa che - come ha scritto nella Fratelli tutti - «ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato». La Chiesa sa che la guerra stravolge i popoli. Così il suo giudizio, peraltro eco dei pensieri di tanti Papi e grandi cristiani del passato, è molto chiaro: «La guerra è un fallimento della politica e dell'umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male». 

La missione di Zuppi esprime la volontà di Francesco di non rassegnarsi al fallimento della politica, che lascia voce solo alle armi. Vuol essere una presa di contatto con l'umanità dolente dell'Ucraina. Che novità ha portato la missione? Che poteva dire il presidente Zelensky al cardinale più di quanto non abbia detto già al Papa? Innanzi tutto il colloquio tra presidente e cardinale s'inserisce in un fitto scambio tra Santa Sede e Kyiv: il primo ministro e il presidente in Vaticano dal Papa prima e, poi, Zuppi da Zelensky. Questi l'ha ricevuto con molta attenzione. 

È l'implementazione di un linguaggio diplomatico, tanto carente nella crisi. Zuppi ha avuto anche la missione di mostrare la vicinanza del Papa agli ucraini. 

Forse l'affrettato parlare delle cronache non presta attenzione ai fatti della visita. Prima di tutto la visita a Bucha, dove il cardinale ha condiviso il dolore ucraino per la violenza russa. Poi l'incontro con i rappresentanti del Consiglio delle Chiese (assai divise) e delle religioni, tra cui la Chiesa legata al patriarcato di Mosca, quella ortodossa autocefala, quella greco-cattolica. A quest'ultima (che ha una storia di sofferenza durante il regime sovietico), il cardinale ha riservato omaggio nella cattedrale, andando a pregare sulla tomba dell'arcivescovo maggiore Husar, venerata figura, ch'egli aveva conosciuto. Il dossier dei problemi umanitari è stato centrale nella missione di Zuppi, che ha incontrato anche la vice primo ministro, Vereshchuk, incaricata del ritorno dei bambini ucraini dalla Russia. Del resto i cattolici italiani hanno un notevole impegno di solidarietà nel Paese. Eloquente è stato il momento di raccoglimento del cardinale nella cattedrale di Santa Sofia. 

Questa missione, cui sarebbe irrealista chiedere immediati risultati, ha contribuito a sminare l'avvelenato terreno della politica, ma anche a seminare attenzioni nuove. Del resto ancora non è avvenuta la presa di contatto da parte del cardinale con i dirigenti russi. Intanto è scattata l'offensiva ucraina e il Paese soffre per l'esplosione della diga di Kakhovka. La situazione è delicata. In questo quadro, le parole del Papa e la missione di Zuppi costituiscono un'indicazione sulla via della pace, come Francesco ha detto: «Non rassegniamoci alla guerra, coltiviamo semi di riconciliazione».

Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 18/6/2023



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