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La dignità di un Paese che conosce il dolore



I russi credevano d'essere accolti come liberatori, invece hanno cancellato le divisioni che laceravano la nazione

La solidarietà e la simpatia per gli ucraini è stata spontanea. Mi hanno colpito molto le donne ucraine in patria o all'estero. Sono figlie di un popolo che ben conosce il patire, come dice la Bibbia. 

Se per capire l'incredibile politica di Putin bisogna mettersi nella testa e nella storia dei russi, così per capire la tenacia degli ucraini basta guardare alla loro storia. La Russia, pur essendo accanto all'Ucraina, non l'ha capito. 

I russi credevano di essere accolti come liberatori da una parte della popolazione, mentre hanno compattato gli ucraini, ponendo il suggello definitivo alla nazione. L'aggressione putiniana ha cancellato le divisioni ucraine degli ultimi trent'anni, che laceravano la nazione.

Ci sono popoli che ben conoscono il patire, scritto nei loro cromosomi. Limitiamoci al terribile Novecento ucraino. La guerra civile, dopo la rivoluzione bolscevica; poi la guerra tra il 1918 e il 1921 tra sovietici e Ucraina, che aspirava all'indipendenza; gli anni Venti, segnati dai pogrom antisemiti, dalla violenza sovietica sugli indipendentisti e sui borghesi con migliaia di morti, infine la fame per la collettivizzazione delle terre. Nel 1932, la carestia attanagliò l'Ucraina con la nuova politica economica: quattro milioni di morti. I viaggiatori raccontano scene tremende, anche di cannibalismo. Stalin rifiutò di aiutarli. È Holodomor (combinato di due parole ucraine: fame e uccisione), considerato un genocidio.

La Seconda guerra mondiale fu durissima. Nel 1941, Hitler invase l'Ucraina sovietica. A Kiev, nelle gole di Babj Yar, furono sterminati più di 30mila ebrei: in totale nel Paese furono assassinati 1.600.000 ebrei ucraini, senza contare quelli rifugiatisi nelle foreste e colpiti dalla resistenza polacca o dai gruppi insurrezionali ucraini. Gli ucraini furono costretti ai lavori forzati dai nazisti. Alla riconquista sovietica, il bilancio era pesantissimo: tra i tre e i cinque milioni di morti, 770 città e 18mila villaggi distrutti.

Finita la guerra, la situazione migliorò, ma sotto il pesante controllo sovietico, assai duro contro l'identità nazionale. È un popolo "esperto nel soffrire". Questo spiega la loro resistenza e dignità. Il coraggio ucraino e la motivazione della gente sono in contrasto con la demotivazione delle forze russe.

La simpatia per gli ucraini aggrediti è spontanea. Il modello putiniano, relazionato ai populismi, non ci piace e ha un'attrazione antidemocratica. Anche perché nel mondo le democrazie non abbondano e sembrano fragili. Questo non è essere ostili al popolo russo e alla sua grande cultura. Subito dopo la simpatia per gli aggrediti, occorre ragionare lucidamente. Ragionare non è neutrale, come gli svizzeri nella Seconda guerra mondiale, quando dicevano: "La barca è piena", come sa bene Liliana Segre, da bambina respinta alla frontiera. Ma è compito di chi non è dentro il conflitto, come gli europei. Nello scenario dell'Ucraina devastata, c'è il problema della pace: come garantirla presto agli ucraini? Poi la pace in Europa: evitare una guerra totale, di cui si parla con leggerezza. 

Intanto la guerra continua con il suo strazio di vite umane e fatti terribili. Il filo dei negoziati è sempre più tenue, mentre hanno sostituito l'incontro con il dialogo virtuale. Quanto tempo ancora perché torni la ragione, perché cessi l'aggressione, perché si trovi una via per trattare la pace? 


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 15/5/2022



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