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La forza debole del dialogo, motore per la pace.Il caso del Mozambico

Il 4 ottobre non è solo il giorno dedicato a san Francesco d'Assisi. E' anche il giorno in cui, nel 1992, si firmava a Roma l'Accordo Generale di Pace che metteva fine alla guerra civile in Mozambico, un conflitto che aveva causato più di un milione i morti e ridotto il paese alla miseria e alla fame.
Il 4 ottobre 2017, questa pace ha compiuto il suo Giubileo d'argento: 25 anni, che hanno significato per il Mozambico non solo cessazione della violenza, ma ripresa demografica, sviluppo economico, dinamiche - anche dai contorni aspri - in un quadro di dibattito parlamentare e democratico. Sono i tanti volti della pace.
In una conferenza tenutasi alla Farnesina, Andrea Riccardi, il ministro Angelino Alfano e il viceministro alla Giustizia del Mozambico, Joaquim Verissimo, hanno esaminato la storia e le ragioni di questa pace straordinaria: "un modello - ha detto il ministro Alfano - per la sinergia tra attori statuali e non statuali, come è la Comunità di Sant'Egidio".
Nel ripercorrerne la storia Andrea Riccardi ha ricordato le condizioni difficlissime in cui versava il paese:
"Ricordo come il popolo fosse veramente stremato. Quando al congresso della FRELIMO (Sant’Egidio era accreditato nel paese per la cooperazione) parlai di pace, sentii un boato di consenso dei delegati. Il presidente Chissano, succeduto a Samora dopo l’inquietante incidente aereo del 1986, da intelligente diplomatico, si era reso conto che vincere sul piano militare era impossibile. Il territorio –salvo le città- era sotto la minaccia, se non il controllo, dei guerriglieri". 
E la scelta di Roma e dell'Italia come luogo di incontro e mediazione:
"Perché Roma? Precedenti tentativi, in sedi africane, erano falliti, anzi nemmeno iniziati. Roma era uno scenario un po’ mitico per le parti. Il governo contava vari amici, tra cui i comunisti italiani e Andreotti. Era l’unica città fuori dall’Africa che Dhalakama aveva visitato. Qui le due parti potevano discutere, senza ingerenze di poteri forti. .... La forza di Roma è stata il paradosso della debolezza della mediazione: l’assenza di convenienze strategiche, si trasformava in forza perché creava fiducia. Una parte degli attori occidentali erano però convinti che il dialogo non fosse la strada per la pace in Mozambico. Varie le ironie sull’attivismo italiano, come quando “Le Monde” scrisse di negoziati che “piétinent” tra ristoranti e basiliche romane." La fiducia nella forza "debole" del dialogo, è stata il motore di questo negoziato, come ha spiegato Riccardi, ma anche la sapienza e il non avere altri interesse che la pace."Matteo Zuppi, uno dei mediatori, e io stesso eravamo convinti da tempo che il dialogo fosse l’unica strada... La scelta fu non forzare le parti. Spesso i mediatori hanno fretta di successo".
Oggi, il Mozambico è molto diverso da quello che era 25 anni fa:
In venticinque anni, il Mozambico ha compiuto grandi progressi economici. Nel 1992 era il paese più povero al mondo, con un reddito annuo pro capite di 60 dollari. Negli ultimi anni ha oscillato tra 400 e 600. Dalla pace il PIL è cresciuto a una media del 6% annuo. La mortalità infantile è scesa dal 162 al 60 per mille, e la speranza di vita è passata da 44 a 52 anni e sarebbe molto più alta senza l’AIDS, contro cui oggi lotta Sant’Egidio. I mozambicani non hanno raggiunto la prosperità. Accanto ad una ristretta fascia di ricchi, vi è una grande massa di popolazione sotto la soglia della povertà, due terzi degli abitanti.
Infine, Riccardi ha offerto anche un'interpretazione di quello che è l'eredità di questo processo di pace. Un modello, una speranza per tutta l'Africa, come ebbe a dire Nelson Mandela.
 "Qualche lezione dalla pace mozambicana del 4 ottobre 1992? Anzitutto, gli strumenti “semplici” del dialogo, del contatto umano e del ragionamento politico non sono all’insegna dell’embrassons-nous. Servono accordi articolati, complessi, ponderati, che però necessitano della comprensione delle ragioni e dei sentimenti. Boutros Boutros-Ghali, all’epoca segretario generale delle Nazioni Unite, ha parlato di “pace italiana” non solo perché tre dei quattro mediatori erano italiani, ma perché si trattò di una mediazione insolita, non contemplata dai manuali del conflict resolution. E’ una pace italiana, rivelatrice della capacità dello Stato e della diplomazia di fare sinergia con la società civile, ma anche di creare una cooperazione internazionale che impedisse percorsi sviati e alternativi. Ha scritto Ghali: “La Comunità di Sant’Egidio ha sviluppato tecniche che sono differenti ma al tempo stesso complementari rispetto a quelle dei peacemakers professionali... tecniche caratterizzate da riservatezza e informalità, in armonia con il lavoro ufficiale svolto dai governi e dagli organismi intergovernativi… Sulla base dell’esperienza mozambicana è stato coniato il termine ‘formula italiana’ per descrivere questa miscela, unica nel suo genere, di attività pacificatrice governativa e non”.


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