Passa ai contenuti principali

Il nostro paese e i terremoti. La solidarietà non basta, bisogna fare di più


TRA LA POLVERE E IL DOLORE Soccorritori ad Amatrice impegnati a scavare tra le macerie. Grazie a loro sono state estratte vive quasi 250 persone nei paesi terremotati delle province di Rieti e Ascoli Piceno


 Gli italiani hanno risposto con generosità. Ma si deve realizzare una svolta per il futuro
I1 terribile terremoto in Italia centrale ha colpito una bella terra, ricca di storia e umanità. È l'umanità della gente di Amatrice che, in anni di miseria, ha lasciato le zone montuose per lavorare a Roma o altrove. Così è avvenuto anche negli altri paesi e nei piccoli borghi colpiti dal sisma nel Lazio, Umbria e Marche. Sono rimasti gli anziani, che vedono oggi distrutto l'ambiente della loro vita. Gli emigrati e i loro figli tornano sempre, specie d'estate: nelle vecchie case, restaurate, o in quelle nuove. Il terremoto è arrivato in un momento di massima presenza, d'estate. Ha colpito l'Italia dei piccoli centri, memoria di un senso della vita presente nelle radici di tanti abitanti delle città. Ha commentato Domenico Pompili, vescovo di Rieti, di fronte a morti e rovine: «Così è la vita, imprevedibile e fragile». C'è anche però l'imprevedibilità della solidarietà. La mattina dopo il terremoto s'è svegliata un'Italia generosa, capace di sacrificio per aiutare gli altri. Abbiamo visto scavare per ore nei cumuli di rovine, da cui sono state liberate quasi 250 persone vive. Vigili del fuoco, Protezione civile, Soccorso alpino, Polizia e Carabinieri, volontari e gente comune. Dal terremoto del Friuli nel 1976 siamo testimoni di una solidarietà che è la forza del nostro fragile Paese. Gli italiani hanno mostrato di sentire il legame con il "prossimo". Una forza umana e solidale che consola. Di fronte al terremoto, si sviluppano giustamente dibattiti su come lo si sia affrontato: troppo impreparati in un'area sismica? Non tutti i fondi per attrezzare gli edifici in modo antisismico sono stati utilizzati. Certo ne sarebbero stati necessari di più, ma nemmeno quelli disponibili sono stati usati integralmente. Sono fatti evidenti ormai. Qui c'è - lo ha rilevato Maurizio Molinari - la debolezza italiana. La solidarietà non basta. Anzi si esaurirà di fronte all'imprevidenza. Ci vuole una politica sistematica che attrezzi il territorio a convivere con l'eventualità dei terremoti. Ci vogliono molte risorse. E la Ue può aiutare in questo senso. Mi permetto di dire: non è il problema maggiore. La questione è che Governo e amministrazioni operino con sistematicità e rigore per scongiurare l'imprevidenza. Mai più anziani, bambini e famiglie perdano la vita così. Mai più il patrimonio artistico distrutto. Si può fare molto, anche se mai saremo in totale sicurezza. Una nuova responsabilità può rendere la politica e lo Stato credibili: rispondere ai drammatici bisogni del momento e allo slancio di solidarietà, ma anche realizzare una svolta preparandoci al futuro. È la svolta che impone questo terremoto, mentre ancora piangiamo troppi morti.

Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 4 settembre 2016

Commenti

Post popolari in questo blog

I corridoi lavorativi: modello di accoglienza e buon senso

Sono un modo sicuro per integrare i rifugiati e avere la manodopera di cui abbiamo bisogno La sorpresa è venuta dalla società italiana: a fronte dei 151.000 posti messi in palio dal decreto flussi (non stagionali), le domande degli italiani sono state oltre 690.000. Una massa di richieste a dimostrazione dell'enorme bisogno di manodopera in quasi tutti i settori. La decrescita demografica rende urgente cercare manodopera all'estero.  La paura e l'allarmismo hanno paralizzato la politica che non ha trovato una soluzione ragionevole. I Governi della Ue sono immobilizzati dallo spirito del tempo: paura dei migranti e idea che ognuno debba fare da sé.  Ma i dati parlano chiaro: l'economia europea ha bisogno di manodopera, ma soprattutto l'inverno demografico rende sempre più urgente un rimedio. In Italia c'è forte inquietudine: secondo i dati dell'Istituto Cattaneo, dovremo andare a cercare gli immigrati, pena il crollo dell'economia perché per cinque pens

La guerra non è inevitabile e il mondo non si deve rassegnare

Papa Francesco entrando all'Arena di Verona saluta Andrea Riccardi  È la costante profezia del Papa: per realizzarla, bisogna investire tutti su diplomazia e dialogo Papa Francesco ha presieduto, sabato 18 maggio, all'Arena di Verona, l'incontro Giustizia e pace si baceranno . L'"Arena di Pace", nata nel 1986, ha avuto sei edizioni. Due nel 1991, il periodo della prima guerra del Golfo, che segnò la massima mobilitazione per la pace. Dal 2003 questo evento non si teneva più.  Negli ultimi due decenni il movimento della pace ha coinvolto meno persone. Resta ancora in Italia un tessuto importante di realtà associative, ma complessivamente il tema della pace è uscito dal dibattito pubblico. Sembra un paradosso, si parla meno di pace proprio quando l'Europa si trova di fronte a un grave conflitto che, a partire dall'aggressione russa, sta dilaniando l'Ucraina. Si aggiunge la drammatica situazione in Terra Santa: l`aggressione terroristica d'Israe

La crisi in Giordania: a rischio un'oasi di pace nel caos del Medio Oriente

Il regno di Abdallah confina con Israele, Siria, Arabia Saudita e Iraq e ospita un altissimo numero di rifugiati Tutto è complicato e in movimento in Medio Oriente: le crisi si susseguono. Un solo Paese è stabile: la Giordania, su cui regnano gli hashemiti, famiglia che discende dal profeta Maometto. Ora il re Abdallah è stato scosso da una congiura, che coinvolge il fratellastro, principe Hamzah (un tempo erede al trono, che poi ha dovuto lasciare il posto al figlio di Abdallah). Il re ha assicurato che la situazione è sotto controllo e Hamzah ha dichiarato fedeltà al sovrano.  È una faida da famiglia reale, forse un po' più significativa di quella dei Windsor, con le rivelazioni del principe Harry e della moglie Meghan. Si gioca la stabilità di uno Stato al confine di Israele, Siria, Arabia Saudita e Iraq, che si affaccia sul Mar Rosso con il porto di Aqaba.  C'è stato un grande allarme internazionale. Il presidente Biden ha telefonato al re per sostenerlo. La crisi sembra r