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I poveri, la pace, una Chiesa aperta: l'eredità di un grande pontefice

Foto da Vatican News
 

Francesco si è assunto la responsabilità di sfide titaniche, ricevendo a volte applausi, altre rifiuti 

Papa Francesco si è spento come avrebbe voluto, dopo aver salutato il suo popolo a Pasqua. L'ha benedetto, con un filo di voce e solennità, dall'alto della loggia di San Pietro. E stata la sensazione di tanti, che si è trasformata in un profondo rispetto e gratitudine per una vita che, dal 2013, si è consumata per la Chiesa, i cristiani, le religioni, il mondo, i popoli sofferenti e in guerra e i poveri. Perché Bergoglio, primo Papa che non ha vissuto il Concilio, ha rimesso i poveri al centro della Chiesa, realizzando la Chiesa dei poveri di cui parlava il Vaticano II. 

Ha chiesto ai cristiani di toccare i poveri: è il superamento di quell'attivismo di iniziative assistenziali istituzionalizzate che ha abitato buona parte del mondo cattolico. Toccare il povero è un atto sociale e umano, ma anche mistico: sì, mistico, perché Francesco ha visto nei piccoli Gesù stesso, come il Vangelo e i Padri insegnano. 

Basterebbe quest'acquisizione a far grande il suo pontificato. Francesco è stato un uomo di pace, raccogliendo la spinta dei suoi predecessori, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II soprattutto. Mentre con la rivalutazione della guerra nel XXI secolo si eclissava l'idea di pace, la sua voce l'ha indicata come l'obbiettivo di ogni sana politica e della storia. Sua è la preveggente espressione «guerra mondiale a pezzi», con cui fotografava l'insieme dei tanti conflitti, mentre il mondo globale si frantumava. La frantumazione ha toccato pure i mondi religiosi e la Chiesa. Francesco ha lottato per la pace: si pensi al patto di fratellanza con l'imam al-Tayyib, sottoscritto nel 2019 ad Abu Dhabi e l'incontro storico con il grande ayatollah al-Sistani, che siglava l'amicizia con parte significativa degli sciiti. 

Un Papa rivoluzionario? Con modi talvolta inconsueti, Francesco ha perseguito e ampliato le linee che risalgono ai suoi predecessori e al Vaticano II. Il carattere anticonformista, spontaneo, cordiale è stato spesso identificato con la "rivoluzione di papa Francesco". 

Ma c'è stata una vera carica rivoluzionaria nel primo documento del Papa, l'Evangelii Gaudium: qui proponeva a tutti i cattolici un radicale rinnovamento pastorale, fondato sull'uscire dai recinti ecclesiali, mischiarsi con simpatia alla gente, comunicare la parola evangelica in modo semplice e nuovo. 

Una rivoluzione pastorale nella Chiesa, cui spesso hanno risposto inerzie, pigrizie, rifiuti, accomodamenti. Il Papa ne ha sofferto, ma è andato avanti, quasi come un cavaliere solitario, talvolta applaudito, talvolta osteggiato, non sempre seguito. La rivoluzione pastorale è un'eredità decisiva per il futuro della Chiesa, se non si vuole rinchiudere in un angolo, fuori dalla storia, non solo in Europa ma ovunque. 

Dai cardinali che l'hanno eletto Francesco sentiva di aver ricevuto il mandato di riformare la Curia, il cui funzionamento non lo convinceva. Scavando nei suoi problemi, ne ha scoperti altri ancora, che lo hanno assorbito. Nel 2022, dopo nove anni di lavoro, è uscita la riforma curiale, che toglie il posto centrale alla Segreteria di Stato (concepita quasi come una presidenza del Consiglio da Paolo VI), accorpa e crea qualche dicastero. Ma oggi c'è bisogno di una Roma rinnovata, ospitale verso le Chiese in un mondo che si scompone. 

Francesco ha assunto su di sé tante responsabilità, facendo uno sforzo generoso e titanico. Ma la complessità del mondo richiede un nuovo pensiero. E soprattutto l'esemplarità della Chiesa e della sede di Roma. E un servizio del Papa all'unità, accompagnato da un organo collegiale.


Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 4/5/2025

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