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CRISTIANI NEL MONDO, I NOSTRI FRATELLI DIMENTICATI NELLE FESTE

Dalla Libia al Guatemala, le storie di chi continua a soffrire per guerre e discriminazioni

Abbiamo celebrato il Natale in un intreccio tra la riscoperta dei legami familiari e amicali e la solidarietà con i poveri che, nei momenti di gioia collettiva, si trovano più soli, anche se stiamo diventando troppo chiusi nei nostri perimetri nazionali e nel mondo del nostro "io".
Poco lontano da noi, al di là del Mediterraneo, che succede nei terribili luoghi di detenzione dei migranti in Libia? Lì ci sono cristiani che avrebbero festeggiato il Natale a casa o che speravano di farlo in Europa. Per loro non ci sono state né speranza né visite per Natale.
Ci accaniamo a considerarli un problema per l'Europa, mentre sono prima di tutto una grave questione umanitaria in sé. Così sono stati dimenticati nonostante la loro condizione: «Non sembra essere meno di un campo di concentramento nazista», ha dichiarato un testimone. Dall'altra parte del mondo, alla vigilia di Natale è giunto in Guatemala il corpo di Jakelin Caal Maquin, una bambina di sette anni morta disidratata nel deserto del New Mexico negli Stati Uniti.
Ricorda lo sforzo disperato degli emigrati centroamericani. Padre Solalinde, messicano, che ha organizzato una rete di sostegno ai migranti, ha scritto: «I migranti sono un segno dei tempi... testimoni di un mondo in disfacimento». Le sue case rifugio, lungo la via dei migranti, ricattati e rapiti dai narcos, sono tante Betlemme oggi più che mai.
Il Natale passato è stato un momento di conforto per i cristiani in Pakistan che, per la fede e la povertà, subiscono pressioni sociali e, a volte, vera persecuzione. Altri nostri fratelli continuano a soffrire molto in alcune parti del mondo per la discriminazione o per la guerra. Così il Natale nella Repubblica Centroafricana, senza pace e riconciliazione tra i gruppi armati, ha dato speranza alle comunità cristiane in una situazione incerta. Vorrei ricordare inoltre i copti d'Egitto che nel 2017 e nel 2018 hanno subìto dolorosi attentati mentre si recavano in pellegrinaggio o pregavano in chiesa.
Mi auguro infine che il prossimo Natale ortodosso in Ucraina (sarà celebrato 1`8 gennaio) sia occasione di pace tra cristiani di Chiese tanto divise, nonostante celebrino la stessa liturgia e appartengano alla stessa tradizione. Nel buio del campo di Betlemme, i pastori ricevettero l'annuncio dell'Angelo e decisero di andare a vedere insieme "l'avvenimento" che il Signore aveva fatto loro conoscere. Il Natale, in un tempo di attenuazione del senso di responsabilità verso il prossimo (vicino o lontano), fa rinascere, mi pare, un desiderio di fraternità che si allarga. Incoraggia tanti che, in tempi difficili, talvolta disistimati, vivono la solidarietà con i poveri, mentre allargano lo sguardo ai cristiani in difficoltà o ai "dannati della terra" di ogni paese. Nonostante tutti gli inviti a diffidare, nel Vangelo di Natale si scopre invece che la vera radice dell'uomo e della donna è essere generosamente e ingenuamente per gli altri, lavorando alla gioia "di tutto il popolo", annunziata dagli Angeli. Non c'è gioia per me senza impegno per quella degli altri. È un messaggio che il Natale 2018 lascia in eredità al nuovo anno.

Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana 

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