Passa ai contenuti principali

Non ci stanchiamo di gridare di salvare Aleppo, la Sarajevo del XXI secolo

Sulle pagine di Avvenire del 14 agosto, Andrea Riccardi rilancia il suo accorato appello perchè la città di Aleppo sia preservata dalla distruzione.

Si discute in Europa di sicurezza e immigrati. O di economia. Dall`altra parte del Mediterraneo, la Siria è a fuoco da cinque anni e la sua città più emblematica, Aleppo, sta morendo in un assedio spietato. Alcuni di noi, dal 2014, hanno posto la questione all`opinione pubblica internazionale con l'appello SaveAleppo, che ha avuto molte adesioni (vai alla lista dei firmatari) : salvarla, con la tregua, facendone una "città aperta". Ma quanto conta l'opinione pubblica? Soprattutto non contano i lamenti e le grida di sofferenti, bambini, malati, fragili. Voci flebili di chi non ha cibo, acqua, medicinali, medici. Voci di gente, che ha saputo adattarsi a tutto: riaprire gli antichi pozzi, coltivare ovunque, vivere tra le rovine, aspettare. Due milioni di abitanti e più. Solo dal primo agosto sono stati identificati 106 morti. Dall'inizio dell'assedio, se ne calcolano ufficialmente 28.894 (in realtà di più). 
Le immagini di Aleppo, trasmesse al mondo, mostrano una città fantasma, con strade piene di macerie e scheletri di palazzi. Dovunque si è visto questo, ma non si è fatto niente. Aleppo è la Sarajevo del XXI secolo. Sarajevo fu assediata per quattro anni: dall'aprile 1992 al febbraio 1996. Ci furono 12.000 morti. Allora si vide la crudeltà dei combattenti unita all'impotenza dell'Onu e della comunità internazionale. Aleppo è divisa dal 2012: l'Ovest (dove abitano i cristiani) è controllato dal regime di Assad, l'Est dalla ribellione. Oggi i combattenti di al-Nusra si sono distaccati da al-Qaeda e formano un fronte con i salafiti e altri gruppi con l'appoggio di Arabia Saudita, Qatar, Turchia. La parte Ovest è stata legata da una via alla Siria governativa. A volte torna isolata, mentre temibili missili cadono sulle case, distruggendo tutto. 
L'antico suk è un cumulo di rovine. Così la stupenda cattedrale armena. Gli elicotteri governativi, per la loro parte, scaricano terribili barili-bomba sull'Est, progressivamente isolato dalla recente offensiva di siriani, iraniani e hezbollah, appoggiati da aerei russi. Poi c'è stata la ripresa dei ribelli. Alterne vicende di due assedi contemporanei che tengono in ostaggio, dal 2012, una comunità che viveva insieme da sempre: musulmani di varie tradizioni, cristiani (armeni, siriaci, ortodossi, cattolici...). Una danza macabra di siriani, islamisti, potenze regionali, grandi potenze che continua sulla testa della città-simbolo del vivere insieme. Sì, questo era Aleppo. Fino a qualche decennio fa c'erano anche gli ebrei: ne parla Miro Silvera nel suo Prigioniero di Aleppo, romanzo di memoria della convivenza perduta. C'è l'Hotel Baron, di proprietà armena, dove scesero Lawrence e Agatha Christie. Ad Aleppo si è sempre commerciato. Prima della tragedia, vidi all'aeroporto
donne che venivano dall'Armenia per acquisti. C'erano insegne in tante lingue, pure in russo. Aleppo soprattutto era capitale di storia e di cultura. Lo stupendo museo con le statue millenarie dei Baal. Soprattutto si viveva una tradizione di rispetto nella differenza. Per questo i combattenti non hanno salvato la città con una tregua: Aleppo doveva morire. Era, con il suo vivere insieme, la risposta vivente al totalitarismo islamista. Ed era troppo vivace per il clima occhiuto della dittatura. Preservarla era creare un'isola di pace in tanta guerra. 
Ricordo, quando lanciai l'appello SaveAleppo, le obiezioni: "Perché Aleppo e non un`altra città siriana?". Ma Aleppo vuol dire pace e convivenza: il futuro auspicabile per la Siria. Oggi è quasi distrutta. Ciascun attore ha la sua strategia. Ne abbiamo discusso tante volte. Mentre l'Onu è impotente, vediamo la connivenza di tutti (pur nemici) nell'assassinare la
città. Insensibili alle lacrime degli aleppini. Ci dicono nei fatti: la solidarietà e la volontà di salvare Aleppo non contano nulla. Non ci si meravigli allora se cresce il nichilismo tra la gente e i giovani. Non si era proclamato negli anni Novanta "Mai più Sarajevo"? Aleppo è la nuova Sarajevo. Forse peggio, se si possono paragonare i drammi. Peggio, perché non si è imparato niente dalla storia. Non ci stancheremo però di gridare: Save Aleppo! Salvate Aleppo, salviamola.

Commenti

  1. Alcuni, pochi, provano ancora...ebrei di seconda generazione dopo la Shoah, come me, con un pensiero semplice e diretto: forse quello che avviene in Siria e ad Aleppo (e sul monte Sinjiar e dintorni, tanto simile al massacro genocidario di Srebrenica, contemporaneo dell'assedio di Sarajevo) non è proprio come la Shoah, ma chiunque sappia davvero cos'è stata la Shoah non può rimanere inerte. Moti Kahane e la piccola ong Amaliah continuano a portare aiuti, medici e infermieri e medicine, anche laddove le grandi organizzazioni umanitarie non lo fanno più. E lavorano a delle #safezone, tra Siria e Israele, libere dai combattimenti: un primo pezzetto di pace, un riparo, intanto... Nella mia infima modestia, in quest'anno di infortunio, posso fare poco più che pregare ogni giorno e continuare a parlarne ostinatamente con quanti incontro... Ho ricominciato a insegnare, questa settimana, e mi ha stupita di nuovo il fatto che giovani 3.0, con tanta informazione a disposizione, sappiano poco o nulla di Aleppo e della Siria. Ai tempi della Shoah, la scusa dei tanti "spettatori" - anche in Italia! - era che non si sapeva...oggi è evidente che il problema non è questo. È piuttosto che, se non ci si pensa solo in termini di "io" ci si pensa in "noi" piccolissimi, spesso contrapposti...e crescono ragazzi fragili, che non realizzano il dono della pace di cui godono, spesso pieni di ansie (più o meno motivate), rassegnati all'essiccamento della vita democratica e ancor più alla morte di tanti (spesso lontani, ma non sempre) per le guerre o le povertà e violenze estreme. Abbiamo cominciato lezione con Emile Durkheim, che già ai tempi della prima guerra mondiale (che gli portò via il figlio Andrè e metà classe di studenti) diceva che le guerre non scoppiano ma sono dovute al generale rarefarsi delle volontà di pace. Mi sembra - ed è consolante - che da subito la maggior parte dei partecipanti alle lezioni abbiano manifestato sete di pace... Forse, 100 anni dopo Durkheim, un problema è l'occultamento delle volontà di pace, nei media e nella vita quotidiana. Ma questo rende tutti, e particolarmente i più giovani, molto fragili...malgrado tanti mi rimproverino da anni che "insegno cose troppo tristi", sono convinta che amare Aleppo e la Siria (anche nella mia infima maniera) sia al tempo stesso fare il bene dei giovani di qui...forse contribuirà ad evitarne qualche altro suicidio (5, nei mesi passati...)... E oggi, voglio credere che oltre alla bella preghiera di Assisi, anche la memoria del Presidente Shimon Peres, appena morto, RIP, possano essere di benedizione per una nuova, seria e urgente, ricerca di pace...

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

La crisi in Giordania: a rischio un'oasi di pace nel caos del Medio Oriente

Il regno di Abdallah confina con Israele, Siria, Arabia Saudita e Iraq e ospita un altissimo numero di rifugiati Tutto è complicato e in movimento in Medio Oriente: le crisi si susseguono. Un solo Paese è stabile: la Giordania, su cui regnano gli hashemiti, famiglia che discende dal profeta Maometto. Ora il re Abdallah è stato scosso da una congiura, che coinvolge il fratellastro, principe Hamzah (un tempo erede al trono, che poi ha dovuto lasciare il posto al figlio di Abdallah). Il re ha assicurato che la situazione è sotto controllo e Hamzah ha dichiarato fedeltà al sovrano.  È una faida da famiglia reale, forse un po' più significativa di quella dei Windsor, con le rivelazioni del principe Harry e della moglie Meghan. Si gioca la stabilità di uno Stato al confine di Israele, Siria, Arabia Saudita e Iraq, che si affaccia sul Mar Rosso con il porto di Aqaba.  C'è stato un grande allarme internazionale. Il presidente Biden ha telefonato al re per sostenerlo. La crisi sembra r

La "forza debole" della preghiera può spostare le montagne

Il cardinale Matteo Maria Zuppi con il presidente Joe Biden Il cardinale Zuppi è stato a Washington dal 17 al 19 luglio dove ha incontrato anche il presidente Biden . Nel lungo e cordiale incontro, il cardinale gli ha consegnato una lettera di Francesco e gli ha manifestato "il dolore del Papa per la sofferenza causata dalla guerra". La sofferenza della guerra è stata al centro del colloquio. L'inviato del Papa si è chiesto come alleviarla. Le questioni umanitarie sono state un tema rilevante nelle conversazioni perché la Santa Sede è molto impegnata su di esse. Il colloquio ha toccato gli sviluppi del conflitto, iniziato un anno e mezzo fa con l'attacco russo. La Santa Sede, come ha già manifestato il card. Zuppi sia a Kyiv che a Mosca, è preoccupata per il suo prolungarsi. Nel viaggio a Kyiv il cardinale aveva constatato le condizioni di vita del popolo ucraino. A sua volta l'elemosiniere del papa, il card. Krajewski, si è recato più volte in Ucraina, anche in r

La Chiesa non si deve rassegnare a un paese fatto di "sonnambuli": dalla sua storia e dal suo vissuto emergono energie di fede e speranza che fanno bene a tutti, vecchi e nuovi italiani

Migranti latinoamericani a messa dal Papa Sono "sonnambuli" gli italiani secondo il rapporto del Censis. Ma una comunità con meno fedeli ha energie di fede In che mondo gli italiani vivono la loro fede? Il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, la  57a edizione di un'analisi che ha accompagnato la storia italiana, ci aiuta - grazie alle intuizioni di Giuseppe De Rita - a guardare alle dinamiche del presente e del futuro. Non si può pensare alla fede fuori dalla realtà umana degli italiani. Tante volte l'idea di cambiare la Chiesa viene declinata in maniera interna e autoreferenziale. Gli italiani, oggi, non sono quelli che vissero il Vaticano II o le crisi vitali degli anni Sessanta-Settanta. Non sono il Paese "forte", che resistette al terrorismo, in cui il cattolicesimo era una componente decisiva.  Oggi - dice il rapporto - l'Italia è un Paese di "sonnambuli": «il portato antropologico della difficile transizione dalla grammat