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Fermare la guerra in Siria deve essere ancora possibile

Dopo il forte appello di papa francesco per la pace
(Famiglia Cristiana, 15 settembre 2013)

La Siria è il nome di un dramma. Era un Paese dove vivevano insieme minoranze religiose ed etniche. Un Paese meraviglioso con monumenti di tante civiltà. Un giorno del 2011 ha sperato nella libertà. Uomini e donne, giovani, sono scesi per strada chiedendo al regime una svolta. Hanno pagato un prezzo durissimo. Il potere (nelle mani della minoranza alauita) ha risposto violentemente. Tutto si è radicalizzato in qualche mese: dal confronto pacifico alla lotta armata. La Siria è entrata nel grande gioco dello scontro tra sciiti (la minoranza alauita, gli hezbollah del Libano, l'Iran) e sunniti(quelli siriani, l'Arabia Saudita, la Turchia). La Russia, protettrice di Assad, non vuole perdere il Paese. Così l'opposizione, da pacifica, è divenuta armata. Il radicalismo islamico e Al Qaeda sono entrati nel gioco, come parte dell'opposizione. La guerra ha prodotto più di centomila morti e due milioni di rifugiati.
Nel fragile Libano si registrano attentati alternativamente a sciiti e sunniti. Che si può fare? La comunità internazionale ha fatto ben poco, divisa in una logica da guerra fredda. Lo stallo vuol dire tanti morti e tanto dolore. La guerra rischia di allargarsi. Papa Francesco ha dato voce a chi non si è rassegnato. Sabato scorso ha chiesto: «Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte?». È una domanda condivisa dalle tante comunità cristiane che quel giorno nel mondo pregavano con il Papa. Si è visto un popolo di pace, non più rassegnato. Una sfida a un'opinione pubblica rinunciataria e a una diplomazia impotente. L'errore della comunità internazionale è stato non sostenere subito l'opposizione pacifica e non imporsi su Assad. L'opposizione armata rappresenta oggi in buona parte un'incognita per il futuro.
Su questo gioca Assad con una politica arrogante, avvinghiato al potere, spregiudicato fino all'uso dei gas sulla sua gente. Il minacciato intervento punitivo americano può aggravare la situazione con conseguenze al di là della Siria. Sembra una via senza sbocchi. Per questo la voce di papa Francesco si è alzata con forza, inchiodando le diplomazie all'impegno di superare le divisioni cristallizzate. Ma anche risvegliando un'opinione pubblica distratta e rassegnata. Il negoziato è l'unica via: con la partecipazione di tutti i Paesi coinvolti e di tutte le parti siriane. Va imposta una tregua, perché i siriani non siano più ostaggio della guerra. Perché si ricominci a parlare. Una guerra è già in atto: rischia di estendersi. Questo richiede molta responsabilità. Si avverte, quindi, come una forte contraddizione il fatto che, mentre la guerra rischia di incendiare il Mediterraneo, in Italia la stabilità del Governo sia minacciata. Siamo davvero prigionieri di logiche introverse. Ci sono eventi più grandi dei nostri problemi di sempre, che ci chiamano a superarci.

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